lunedì 17 novembre 2014

1925-26 e 1926-27

1925-1926
Il burrascoso epilogo del campionato del 1925, a sua volta segnato dal non tranquillo esito di quello del '24, obbligò a riconsiderare la struttura del Progetto Pozzo, che conferiva ad una doppia finale il compito di assegnare lo scudetto, in quanto tali appuntamenti si erano rapidamente riempiti di una tensione tale da comportare ingestibili problemi di ordine pubblico. Si fece dunque largo l'idea dell'istituzione di una divisione d'onore a girone unico a 16 squadre. Tale proposta aveva anche il pregio di aumentare gli scontri diretti fra le maggiori società nazionali, ridottisi dopo la divisione in due gironi separati. L'attuazione di tale piano imponeva, tuttavia, la riduzione del numero delle partecipanti al torneo: venne dunque deciso, all'assemblea federale del 17 agosto 1925, che, a fine stagione, sarebbero state ben quattro le retrocessioni per ogni girone della Lega Nord. Poiché fortemente appoggiato dal regime, l'intero piano trovò minori resistenze del suo predecessore, la cui attuazione aveva portato alla crisi del 1921. Il Fascismo, infatti, si era accorto dell'enorme potenziale d'attrazione sulle masse che il calcio sapeva esercitare, e volle dunque sfruttarlo a suo vantaggio. Se Mussolini, generalmente poco interessato alle competizioni di squadra, non si interessò mai veramente a quello che, dopo la Grande Guerra era divenuto a tutti gli effetti lo sport nazionale, lo stesso non poteva dirsi di molti gerarchi che, tifosi se non dirigenti di svariate società, cercarono a più riprese di intervenire a favore delle proprie compagini, talvolta sobillando in prima persona disordini e problemi di ordine pubblico. Il caso più emblematico fu quello di Leandro Arpinati, che arrivò addirittura alla presidenza della FIGC a fine stagione apportando, con la Carta di Viareggio, una drastica ristrutturazione dell'organizzazione del calcio italiano. I campioni d'Italia del Bologna partirono lanciatissimi, ottenendo ben dieci successi consecutivi nelle prime dieci giornate di campionato, e venendo fermati sul pareggio per la prima volta solo a gennaio, in quel di Genova, di fronte all'Andrea Doria. Autentico trascinatore dei felsinei fu, come l'anno precedente, il ventenne Angelo Schiavio, capace di mettere a segno ben 27 gol nel solo girone eliminatorio. Nonostante questa marcia da record, i rossoblu si trovarono sempre alle calcagna un ritrovato Torino, rilanciato dall'aristocratico e facoltoso presidente Enrico Marone Cinzano, e rafforzato dal fortissimo centravanti Adolfo Baloncieri, prelevato in estate dall'Alessandria. I granata, sconfitti a Bologna, non si diedero per vinti, motivati anche dagli evidenti segni di flessione che i rossoblù cominciarono a dare nel girone di ritorno. Fu lotta serrata, risolta solo a causa della clamorosa sconfitta in cui i torinisti incapparono alla terz'ultima giornata in casa dell'Udinese, squadra già praticamente retrocessa. I sei gol con cui il Toro sommerse un Bologna ormai alle corde nello scontro diretto, posticipato dalla FIGC all'ultima giornata onde disputarlo a giochi già chiusi evitando così nuovi incidenti tra i tifosi, non fece altro che accrescere il rammarico per un'occasione che parve sprecata per ottenere il primo scudetto in casa granata. Nell'altro raggruppamento la notizia fu invece il crollo del Genoa, che nelle precedenti quattro stagioni era sempre giunto in finale, cogliendo due scudetti. La formazione rossoblù cominciò a risentire del passare del tempo ma soprattutto, ancorata alla sua matrice essenzialmente genovese, cominciava a perdere posizioni in un calcio dove, seppur nascostamente, cominciava a tessersi una sempre più fitta tela di calciomercato. Fuori dai giochi i favoriti liguri, nel girone si assistette dunque alla marcia solitaria della Juventus : la formazione bianconera, da due stagioni in mano alla famiglia Agnelli, era stata fortemente rafforzata dalla nuova dirigenza con gli attaccanti Piero Pastore e Férénc Hirzer e il terzino Virginio Rosetta. Punto di forza tradizionale, inoltre, era il portiere della Nazionale Gianpiero Combi, perno di un'impenetrabile difesa che rimase imbattuta per dieci giornate consecutive. I bianconeri segnarono simbolicamente il passaggio di consegne fra il vecchio e il nuovo calcio italiano andando a vincere all'ultima giornata a Marassi. Come ampiamente previsto, in zona retrocessione caddero squadre di minor spessore: per Mantova, Parma,Reggiana e Udinese la gloria della massima Divisione durò non più di uno o due anni. Sul fondo della classifica del Girone A rimasero Legnano e Pisa, che caddero con Alessandria e Novara, ultimo ad arrendersi. Con la Carta di Viareggio, però, le otto retrocesse rientrarono in gioco disputando, a settembre, un piccolo torneo che avrebbe garantito alla vincitrice il ripescaggio in massima divisione. Prevalse l'Alessandria, che andò così a completare il novero delle partecipanti al campionato successivo. La finale fra Juventus e Bologna si svolse, come oramai consuetudine, in piena estate. I rossoblù si presentavano da campioni uscenti, mentre i bianconeri arrivavano all'ultimo atto del campionato dopo cinque anni di assenza. La gara di andata, giocata al campo "Sterlino" di Bologna, vide i padroni di casa portarsi in vantaggio nel primo tempo con Bernardo Perin; nella seconda frazione, i piemontesi ribaltarono la situazione con una doppietta del magiaro Férénc Hirzer, mentre fu Muzzioli a segnare la rete della parità. Nel ritorno in corso Marsiglia a Torino prevalse probabilmente la paura di perdere, e scaturì una scialba gara a reti bianche, rendendo così necessario uno spareggio che la Federazione fissò per la settimana seguente a Milano. In tale match, arbitrato come i precedenti dall'onnipresente signor Gama, i rossoblù mostrarono quei segni di stanchezza che ne avevano contrassegnato la seconda parte della stagione. Subendo la rete di Piero Pastore nel primo tempo, riuscirono a pareggiare col bomber Angelo Schiavio, ma non seppero recuperare il gol decisivo di Antonio Vojak, siglato a un quarto d'ora dallo scadere dell'incontro. In pieno agosto la Juventus liquidò infine con facilità i romani dell'Alba, detentori del titolo meridionale, e si aggiudicò così il secondo scudetto della sua storia . Lo spareggio con il Bologna la Juve lo disputò con il lutto al braccio perché dopo lo 0-0 a Torino  morì per crepacuore il proprio allenatore, Jenő Károly (sostituito dopo la sua morte da József Viola). I Bianconeri giocarono una partita memorabile onorandolo tra le lacrime. Nella finalissima non ci fu storia, la Juve travolse l’Alba Roma 7-1 a Torino e 5-0 a Roma.

Eliminatorie Lega Nord: Girone B

04/10/1925
Juventus - Parma
6 - 1
11/10/1925
Padova - Juventus
2 - 2
18/10/1925
Sampierdarenese - Juventus
2 - 1
25/10/1925
Juventus - Milan
6 - 0
15/11/1925
Pro Vercelli - Juventus
0 - 1
22/11/1925
Juventus - Alessandria
4 - 0
29/11/1925
Juventus - Livorno
3 - 0
06/12/1925
Cremonese - Juventus
0 - 0
03/01/1926
Juventus - Genoa
2 - 0
24/01/1926
Juventus - Reggiana
5 - 0
14/02/1926
Mantova - Juventus
0 - 5
21/02/1926
Juventus - Sampierdarenese
4 - 0
28/02/1926
Parma - Juventus
0 - 3
07/03/1926
Juventus - Padova
3 - 2
28/03/1926
Milan - Juventus
1 - 2
04/04/1926
Juventus - Pro Vercelli
2 - 1
25/04/1926
Alessandria - Juventus
1 - 3
02/05/1926
Livorno - Juventus
1 - 1
16/05/1926
Juventus - Cremonese
4 - 0
20/06/1926
Juventus - Mantova
8 - 1
27/06/1926
Reggiana - Juventus
2 - 0
04/07/1926
Genoa - Juventus
1 - 3
Classifica Finale 1ª Divisione gir. B Lega Nord 1925-26

Pt
G
V
N
P
GF
GS
 Juventus
37
22
17
3
2
68
14
 Cremonese
29
22
13
3
6
41
25
 Genoa
28
22
13
2
7
48
29
 Padova
25
22
11
3
8
55
33
 Livorno
25
22
11
3
8
43
45
 Sampierdarenese
23
22
10
3
9
38
43
 Pro Vercelli
22
22
9
4
9
42
31
 Milan
22
22
10
2
10
43
39
 Reggiana
17
22
7
3
12
30
50
 Alessandria
16
22
7
2
13
41
48
 Parma
12
22
5
2
15
23
58
 Mantova
8
22
2
4
16
24
81


Finale Lega Nord

Bologna
2 - 2
Juventus
11 luglio 1926
Juventus
0 - 0
Bologna
25 luglio 1926
Juventus
2 - 1
Bologna
1agosto 1926

Finalissima

Juventus
7 - 1
Alba
8 agosto 1926
Alba
0 - 5
Juventus
22 agosto 1926


Juventus Campione d'Italia 1925-26

2°Titolo di Campione d’Italia (1°scudetto) dopo il Campionato Federale del 1905 +1 Campionato Federale nel 1908 +1 Campionato Italiano nel 1909 +3 secondi posti (1903, 1904, 1906) +2°posto nella fase finale del Gruppo Nord girone A 1919-1920 (15 vittorie totali, 5 pareggi e 2 sconfitte) +1°posto “sul campo” nel Gruppo Eliminatorio Nord girone A 1923-1924 (14 vittorie, 4 pareggi e 4 sconfitte le gare reali terminate sul campo da gioco anziché 11 vittorie, 4 pareggi e 7 sconfitte con 3 sconfitte decise dalla Lega Nord ente ufficioso in contrasto con la FIGC ente ufficiale).

Da Il pallone racconta : 22.8.1926: SCUDETTO
DA “LA STORIA DELLA JUVENTUS” DI PERUCCA, ROMEO E COLOMBERO:
Ed ecco, ventun anni più tardi, il secondo scudetto. La squadra, se non proprio rifatta, è stata ritoccata per metà. Uomini che hanno scritto belle pagine della storia bianconera, come Grabbi o Gianfardoni, sono ormai a mezzo servizio; arrivano Allemandi, terzino dalle ottime risorse, Torriani, un buon tornante, soprattutto l’ungherese Hirzer detto la Gazzella. È una Juventus molto ungherese, che oltre alla gazzella conta su Viola e sull’allenatore Karoly. C’è poi un acquisto dell’ultima ora, Vojak, slavo di Pola che arriva dalla Lazio. Dopo aver patito una sconfitta salutare alla terza giornata, che fa comprendere come la concentrazione debba essere sempre massima, i bianconeri ingranano la quarta e staccano ben presto tutte le rivali. Giocano nel girone B della Lega Nord, conquistano il diritto a battersi per la finale addirittura con tre giornate d’anticipo, quando a metà maggio sconfiggono seccamente a Torino la concorrente diretta per la promozione, la Cremonese. Perderanno poi a Reggio Emilia, ma la mente è ormai concentrata sulla finale, sull’altro girone dove Bologna e Torino danno vita ad una lotta serrata risolta a favore degli emiliani soltanto in extremis.
Siamo alle tanto attese finali, dunque. L’andata si disputa a Bologna l’11 luglio, con una gran folla che incita i rossoblu. In effetti si scatena la squadra di casa, si porta in vantaggio per 2-0, sembra irraggiungibile. Ma non ha fatto i conti con l’orgoglio bianconero e nella ripresa la velocità e la tecnica della Gazzella Hirzer fanno breccia due volte: è il pareggio. Hirzer è subissato di abbracci dai suoi, in effetti con le 35 reti messe a segno nel torneo sarà decisivo nella conquista di questo scudetto. Partita di ritorno a Torino, campo di corso Marsiglia, 25 luglio. Karoly, l’allenatore, ha qualche timore, esclude Pastore che pure è il secondo goleador bianconero (27 reti in totale, nell’anno) ma è anche un bel ragazzo e pensa a volte più alla carriera cinematografica (che infatti tenterà in seguito) che non al pallone. Così torna Rosetta all’attacco e non ne può sortire, dalle reciproche paure, che uno 0-0. Karoly si dispera, ha perso la grande occasione di chiudere il discorso con il fattore campo a favore, ora ci sarà la bella in campo neutro. Quest’uomo in passato così sereno è sofferente, abbattuto: quattro giorni più tardi la sua tragedia si compirà. E la domenica, sul campo dell’Arena di Milano, mentre si sta finendo di costruire San Siro, la squadra gioca con rabbia e dolore anche e soprattutto per il suo allenatore. Proprio l’estroso e discontinuo Pastore, escluso nell’ultimo incontro, segna la prima rete e Vojak metterà il sigillo a questa stagione dopo il pareggio di Schiavio. Quando i bianconeri tornano a Porta Susa c’è folla ad attenderli, c’è festa ed amarezza insieme ricordando l’allenatore scomparso. Si scrive tra l’altro, all’epoca: «Il titolo andò alla squadra più degna. Su questo punto non vi sono dubbi da sollevare, né discussioni da avanzare. Per comune consenso la squadra che si è dimostrata più compatta ha strappato la vittoria. Il bellissimo gesto di Gianni e Della Valle, che toltesi le maglie con lo scudetto tricolore sono andati a farne omaggio rispettivamente a Combi e Bigatto, è una riprova di quella che era la convinzione in campo bolognese: che la sconfitta fosse stata regolare ed ai migliori fosse toccata la palma». Già, perché il Bologna aveva vinto lo scudetto l’anno precedente, dopo quelle drammatiche cinque finali col Genoa. Abbiamo detto dunque scudetto alla Juventus, ma in realtà abbiamo precorso i tempi. Da anni la vincente dello spareggio nella Lega Nord era considerata a tutti gli effetti campione prima ancora di giocare le due partite conclusive contro la squadra qualificatasi attraverso i vari gironi della Lega Sud, perché era grande la differenza di gioco e tecnica fra i due blocchi del calcio italiano. Ma la Juventus in agosto deve andare ad adempiere a quella che è considerata da tutti una formalità, la finalissima per il titolo con la squadra romana dell’Alba. Ed una formalità è davvero, 12 goal segnati ed uno soltanto subito in due partite. Si legge, sui giornali: «Confesso che sono uscito dal campo della Juventus (dopo il 7-1 dell’andata, ndr) senza ricordare con precisione quale fosse il numero dei goal con cui si era concretata la vittoria della squadra torinese. Sei, sette, dieci? Ma il numero non conta. Quello che conta è il modo con cui la vittoria fu ottenuta. Quello che emerge è l’enorme differenza di classe esistente fra le due squadre. Io giungo al punto da dubitare che l’Alba non abbia potuto svolgere il suo gioco, che abbia disputato la gara al di fuori della sua forma. Non posso infatti pensare che gli attuali reggitori del football italiano, che mi rifiuto di credere incompetenti, abbiano commesso l’errore di giudicare l’Alba degna di far parte della divisione d’onore, se non erano in possesso di prove ben più conclusive sul valore e sulla classe della squadra romana». Il Sud, con pochi mezzi, comunque si batteva, ed è stato importante che abbia avuto la possibilità fin da allora di mantenere i contatti col grande calcio, che gli hanno permesso di crescere fino alla dignità odierna. Ma allora il problema esisteva e si andrà infatti, nel giro di pochi anni, proprio per ovviare a queste finalissime burletta, a decidere di compiere il grande passo, si andrà al girone unico. Gloria dunque alla Juventus in questa stagione con lo scudetto, meritatissimo, numero due.

1926-27
Nel campionato nazionale 1926-1927, la Juventus si classificò nel primo posto del suo girone con 27 punti, 44 reti a favore e 10 contro. Nel girone finale della Divisione Nazionale a sei squadre, i bianconeri si classificarono al terzo posto con 11 punti, 24 reti a favore e 13 contro, dopo le vittorie storiche contro il Genoa (6-0 a Torino; 3-2 a Genova) e contro il Milan (8-2 a Torino il 10 luglio 1927). La Juventus partecipò anche alla prima edizione della Coppa Italia e raggiunse la quarta fase eliminatoria, dopo le vittorie in trasferta contro il Cento per 15 a 0 il 6 gennaio – vittoria con la maggiore differenza reti della storia bianconera –, e contro il Parma per 2 a 0 il 27 febbraio dello stesso anno. La gara del quarto turno contro il Milan non fu disputata, al pari di altre otto partite, per l'interruzione del torneo per mancanza di date disponibili tra le formazioni classificate. Il campionato1926-1927 segnò l'inizio del dominio delle squadre metropolitane sul campionato, e il conseguente declino delle provinciali, limitate dall'insorgere del professionismo sostenuto dai grandi capitali finanziari. Le sei finaliste furono infatti tutte espressione delle quattro più grandi città del Nord. Dopo un lustro di mediocrità, si rifecero vive anche le due milanesi. Molto regolare fu il cammino dei campioni in carica della Juventus, la cui partecipazione alle finali non fu mai in dubbio, non ebbe problemi neppure l'Inter, che anzi ottenne un risultato di prestigio battendo i bianconeri a Milano. Assai faticosa fu invece la qualificazione del Genoa, costretto a rincorrere il Casale e capace di averne ragione solo grazie a una provvidenziale vittoria nello scontro diretto di Marassi, a cinque gare dal termine. Speculare l'esito dell'altro raggruppamento. Anche qui la vincitrice fu una torinese, il Torino, inseguita da una milanese, il Milan, che giocò la prima stagione nel nuovo stadio di San Siro, dove furono sconfitti gli stessi granata. Più incerta la qualificazione delBologna, che grazie a un autorevole girone di ritorno seppe tenere a bada l'Alessandria e il Livorno, l'ultimo ad arrendersi. In zona retrocessione, le tre “debuttanti” del Sud ebbero il primo scottante contatto con la realtà del calcio settentrionale, dotato di un tasso tecnico nettamente superiore a quello dell'ex-Lega Sud. L'Alba Audace riuscì a compiere un discreto percorso iniziale, ma si perse alla distanza e usci sconfitta da quattro delle ultime cinque partite, venendo superata sia dalVerona sia dal Brescia, che la relegarono al fatale penultimo posto. Non ebbe invece mai speranze l'altra squadra romana, la Fortitudo, che conobbe nella vittoria casalinga sul Torino l'unico lampo di una stagione oscura. Discorso a parte va fatto per il Napoli, che al suo primo anno di vita fu protagonista di una stagione disastrosa: il solo punto ottenuto fu strappato dai partenopei al Brescia, grazie a un pareggio in casa a reti bianche. La Federazione non poté che prendere atto dell'inadeguatezza del calcio meridionale in un torneo unificato; fedele comunque al progetto di un campionato nazionale, decise di ripescare tutte le retrocesse, avendo ottenuto da una parte precise garanzie di campagna acquisti dal presidente partenopeo Giorgio Ascarelli, e dall'altra sostenendo la fusione fra Alba, Fortitudo e Roman Football Club, sotto la regia diItalo Foschi, dando così vita alla AS Roma. Nel girone finale sei grandi firme del calcio italiano si ritrovarono a contendersi lo scudetto del 1927; fra di esse, l'unica a non aver mai vinto il titolo in precedenza era il Torino. La nuova formula del torneo riproponeva, dopo sei anni, i derby fra squadre della stessa città.. Fu invece proprio il Torino a spiccare il volo: trascinati dal cosiddetto Trio delle Meraviglie composto dall'argentino Julio Libonatti, dal piemontese Adolfo Baloncieri e dalligure Gino Rossetti, i granata ottennero due fondamentali successi casalinghi sul Bologna e nel derby. Fu così che, il 19 giugno battendo il Milan, il Torino poté festeggiare il suo primo storico tricolore. Ma l'autunno successivo, le conseguenze del cosiddetto "Caso Allemandi" privarono i granata di questo trionfo. Ad inchiodare i torinesi fu proprio la  vittoria nel derby, ritenuta conseguita in maniera truffaldina. Secondo le cronache, Luigi Allemandi, terzino della Juventus, fu avvicinato da un dirigente granata, il dottor Nani, che lo avrebbe corrotto anticipandogli metà della somma pattuita, 50.000 lire, affinché questi addomesticasse il derby in programma per il 5 giugno. Nella gara incriminata, Allemandi si segnalò però tra i migliori in campo: Nani si rifiutò, quindi, di pagare il resto del pattuito al calciatore e la discussione che si accese tra i due in un albergo torinese fu udita da un giornalista, che denunciò il fatto sul giornale Il Tifone. Alle indagini della Federcalcio, guidata da Leandro Arpinati, seguì la sentenza, che revocò lo scudetto al Torino e squalificò a vita Allemandi, nel frattempo passato all'Inter, il quale godette tuttavia di un'amnistia in seguito al terzo posto della Nazionale alle Olimpiadi del 1928. Il titolo rimase non aggiudicato.[1]

[1] : Nel  Campionato di Divisione Nazionale 1926-27  il vincitore fu il Torino, ma lo scudetto venne revocato nel corso della stagione successiva perché un membro del consiglio di amministrazione del Torino dichiarò di aver pagato per ottenere la vittoria nella partita Torino-Juventus (vinta dal Torino 2-1), giocata il 5 giugno 1927. Questo fu il primo campionato italiano organizzato su base nazionale.

Il caso Allemandi (Opinioni di G.Brera e compagnia bella. Da “Il pallone racconta” )
Il 1926, per l'italia del pallone, è l'anno della riforma. Una riforma finalmente capace di dare una struttura nazionale a un campionato ancora organiz­zato sulla base di raggruppa­menti regionali e di due leghe che trova un brillante interprete in Leandro Arpinati,il nuovo presidente della federcalcio. Fascista della prima ora, il ro­magnolo arpinati nel '26 è un uomo in vertiginosa ascesa: po­destà di Bologna, segretario della federazione provinciale, vice segretario del partito, de­putato alla camera. Ma è anche un personaggio enigmatico, in grado di conciliare gli ideali anarchici e le cariche fasciste, l'amicizia con Mussolini e le spietate critiche che mai risparmierà al duce e che segneranno la fine prematura della sua car­riera politica. Con l'elezione di Arpinati la fe­dercalcio si trasferisce a Bolo­gna, nonostante le resistenze delle società e della stampa del nord. Proteste che il nuovo pre­sidente non si preoccupa di met­tere a tacere. Al noto giornalista Renato Casalbore (il fondatore di Tuttosport) che porta avanti una furiosa campagna contro di lui, si limita a inviare un tele­gramma: «letto suo articolo. Ha torto. Continui sua campagna. Rideremo prossimo incontro». Misteri dell'animo umano (o della storia): l'uomo che nel 1920 aveva condotto, pistole al­la mano, un manipolo di camicie nere all'assalto di Palazzo D'Ac­cursio, quando si trova ad occu­pare cariche pubbliche, dimo­stra in genere una liberalità sor­prendente. Appena insediatosi nella nuova carica, nomina se­gretarioGiuseppe Zanetti, uno dei massimi esperti di calcio in circolazione. Giocatore all'alba del secolo in Germania e in Svizzera, fondatore del Modena, ha un solo insuperabile difetto secondo i papaveri del partito: non ha mai voluto prendere la tessera del pnf : «ma io non ho chiesto un fascista», fa sapere Arpinati. «ho chiesto un compe­tente e un galantuomo». Qualità che presto sarebbero state messe a dura prova. Arpinati e Zanetti si mettono al lavoro e a ottobre, finalmente, si parte. Ma come si presenta la nuova creatura? Di sicuro più snella: delle 44 squadre che, dis­seminate tra leghe, gironi regio­nali, semifinali interregionali, finali di lega e finali nazionali, avevano affrontato il campiona­to precedente, ne restano 20, di­vise in due gironi da 10. Senza alcun criterio geografico.  Al gi­rone A sono iscritte Alba Roma, Brescia, Casale, Genoa, Hellas Verona, Inter, Juventus, Mode­na, Napoli E Pro Vercelli. Al gi­rone B: Alessandria, Andrea Doria, Bologna, Cremonese, Fortitudo Roma, Livorno, Milan, Padova, Sampierdarenese E Torino. Le migliori tre di ogni raggruppamento si qualificano per la poule finale, che asse­gnerà il titolo. Squadre da batte­re: la Juventus, campione in ca­rica, il Bologna, finalista l'anno precedente e il Torino. In secon­da fila le milanesi e il Genoa. Pronostici rispettati : da una par­te passano al girone finale Juve, Inter e Genoa; dall'altra Torino, Bologna e Milan. I superstiti tor­nano in pista a marzo e dopo quattro giornate tutti hanno chiara la trama del film: se la giocheranno fino alla fine il Bo­logna di Schiavio, Della Valle e Muzzioli e il Torino del supertrio Baloncieri, Libonatti, Ros­setti (44 gol in tre nella prima fase del torneo). Il 15 maggio è il gran giorno: le due regine di fronte al Filadelfia. Segna Libo­natti all'inizio del secondo tem­po, il Bologna barcolla, sbuffa, si riprende e assedia. Nel finale l'area del Toro è un fortino: So­sia, il portiere, arriva a far scudo col proprio corpo durante una furiosa mischia sulla linea di porta. «e'dentro», gridano i bo­lognesi. «sarà, ma io non ho vi­sto un bel nulla»,indietreggia l'arbitro Pinasco, la faccia stra­volta di uno che non ci capisce più niente e vorrebbe solo riab­bracciare i propri cari. 1-0, fini­sce così: Torino a 8 e Bologna a 6, raggiunto anche dalla Juven­tus. Comincia il ritorno e il vantag­gio granata aumenta, grazie a una vittoria esterna con l’Inter, mentre Juve e Bologna si neutra­lizzano nello scontro diretto. Ul­tima speranza di riaprire il tor­neo: il derby, che all'andata aveva vinto la Juve. Il conte Marone, presidente del Toro, stavolta ci tiene a fare bella figura e scommette una cena col "colle­ga" Edoardo Agnelli. Arbitro della scommessa il principe di Piemonte, nientemeno. Prima di partire per l'estero il signor con­te si raccomanda: «ci sono par­tite che bisogna vincere a tutti i costi. Questa è una di quelle». Ma nella vita, purtroppo, c'è sempre qualcuno che prende le cose alla lettera e Marone dovet­te rendersene conto in quella cir­costanza. L'uomo del destino è un dirigente granata e si chiama Nani. Ci tiene da matti a dimo­strare il suo zelo e stenta a cre­dere alle sue orecchie quando ta­le Giovanni Gaudioso, studente catanese di ingegneria, gli sbatte sotto il naso la proposta indecen­te: «sono a pensione in piazza Madonna Degli Angeli». «embè?». «conosco bene Allemandi, dorme lì anche lui. Vo­lendo, si può trattare...».
Luigi Allemandi, aveva 24 anni, ed era uno dei più forti terzini in circolazione. Cresciuto nel Le­gnano come mezzala, era stato retrocesso in difesa per poter sfruttare al meglio la sua strari­pante potenza. Gianni Brera lo descriveva così: «era una forza scatenata della natura. Portava la zazzera ricciuta e aveva del diavolo. I suoi spunti veloci im­pressionavano come i suoi balzi acrobatici. Entrava primo sull'avversario lanciato al goal ed erano veri sfracelli». Alla Juve l'aveva portato Virginio Roset­ta, che si era preso la briga di andarlo a vedere di persona. Combi, Rosetta, Allemandi: l'imbattibile difesa della juve campione d'italia era stata tra­sferita in blocco in Nazionale il 17 aprile di quel 1927, a Torino, per un'amichevole (vinta 3-1) col Portogallo. Combi, Rosetta, Ailemandi, Barale, Viola, Bigatto, Munerati, Vojak, Pastore, Ferrerò, Torriani: si presenta così la Juve al Fila­delfia il 5 giugno, per il gran derby. E il Torino: Bosia, Balacics, Martin, Colombari, Janni, Sperone, Carrera, Baloncieri, Libonatti, Rossetti, Franzoni. E allora? Attacca il Toro, ma dalle parti di Combi non si passa.
Scrive Bruno Roghi, inviato della gazzetta dello sport: «i to­rinesi lavorano a maglie fitte, ma Allemandi è imbattibile, in­terviene, è sicuro e potente». Al 44' il colpo di scena: passa la Ju­ve, con Vojak. La ripresa è un assedio granata e quando l'arbi­tro Gama assegna al torino una punizione dal limite si presenta sul pallone il potente terzino un­gherese Balacics: il tiro rasoter­ra non è irresistibile, ma la palla buca la barriera, gol. Traiettoria strana, secondo Roghi, il nostro "testimone oculare": il pallone è passato tra le gambe curiosa­mente divaricate di uno Juventi­no. Allemandi? No, Rosetta. E il Gigi? Continua a darci dentro: il Toro non trova altri spazi. Fin­ché un bianconero non ha la bel­la pensata di farsi cacciare, per una reazione ingenua e spropo­sitata. Allemandi? No, il centra­vanti Pastore.  A un quarto d'ora dalla fine, la Juve, in dieci, an­naspa e il Toro con Libonatti se­gna il gol della vittoria. Gol che potrebbe rivelarsi decisivo perché consente ai granata di mantenere inalterato il van­taggio sul Bologna (12 a 9) e di far fuori la Juve (rimasta a 7). A tre giornate dalla fine. Il conte Marone brinda, Agnelli paga pe­gno e insomma al Toro, mai co­sì vicino allo scudetto, festeg­giano tutti. Tutti tranne Nani, quello della proposta indecente. Chissà perché. La festa, però, dura poco: in set­timana arriva in sede un tele­gramma che sulle prime fa pen­sare a uno scherzo. Il senso è più o meno questo: cari amici, ricor­date il match d'andata col Bolo­gna, vinto 1-0?  E ricordate an­che quel gol-non gol dei rosso­blu che sarebbe valso il pari? Bene, anzi malissimo.
Il signor Pinasco, l'arbitro, ha ammesso davanti alla CITA (una commis­sione che svolgeva anche le fun­zioni del giudice sportivo) di aver preso un abbaglio. E allora, poiché trattasi di errore tecnico, la gara è da ripetere. E quando? Si chiedono sgomenti quelli del Toro. Il 3 luglio, una settimana prima dell'ultimo turno di cam­pionato. Poco importa che al­l'ultima giornata sia in program­ma il ritorno, al littoriale: Tori­no-Bologna e Bologna-Torino, tutto in sette giorni. E la classifi­ca? Torino 10, Bologna 9. Lo scudetto è di nuovo in bilico. Come reagisce la cosiddetta opi­nione pubblica? Carlin, storica firma del Guerin Sportivo, scri­ve: «la CITA, soltanto quando ha letto l'esito della partita Torino-Juventus, s'è accorta di un errore tecnico nella partita Tori­no-Bologna, avvenuta quasi un mese prima», e Arpinati? Non è dato sapere. L'impressione è che non avesse gradito affatto il gen­tile omaggio al "suo" Bologna, proprio nel momento in cui mezza Italia lo accusava di es­sersi portato, con il trasferimen­to della federcalcio a Bologna, il lavoro a casa. Di fatto il Resto Del Carlino, di cui Arpinati era, come si direbbe oggi, azionista di riferimento, diede pochissimo rilievo alla ripetizione della par­tita, nonostante l'importanza della gara. I duellanti nel frattempo comin­ciano a dare i primi segni di ce­dimento: il Bologna pareggia col Milan e perde con l'Inter, il To­ro perde col Genoa, ma batte il Milan, portandosi sopra di due alla vigilia del doppio spareggio. Ma che strano: chi va ad arbitra­re l'incontro di Torino? Tale Da­ni di Genova, uno che aveva diretto la stessa gara nella pri­ma fase del campionato (il 16 gennaio) e che sull'1-1 aveva assegna­to ai granata un contestatissimo rigore trasformato dall'infallibile Balacics.  Co­sì, sei mesi do­po, il prode Dani torna sul luogo del de­litto e... Conce­de il bis: rigo­re per il Toro, gol del solito Balacics e proteste molto più sommesse, benché di fatto quel gol assegnasse lo scudetto.  Il giorno dopo, sul Carlino, un trafiletto col risultato e, più in evidenza, il telegramma di feli­citazioni che Arpinati aveva spe­dito al Torino fresco Campione d'Italia. L'impressione è che si fosse ovviato in maniera artigia­nale - e soprattutto poco rumo­rosa - a una palese ingiustizia: il nuovo presidente della federa­zione, per evidenti motivi di op­portunità politica, non poteva permettere che il Bologna vin­cesse uno scudetto a quel modo. Inutile a questo punto il ritorno al Littoriale, che infatti il Toro affronta con una squadra imbot­tita di riserve. Vince 5-0 il Bolo­gna, ma la goleada serve solo a consolidare il secondo posto dei rossoblu.
Estate torrida, quella del '27. Al­la pensione di Piazza Madonna Degli Angeli le finestre sono bocche spalancate in cerca d'os­sigeno. Allemandi è in partenza: la villeggiatura, poi il probabile trasferimento al Bologna, dove avrebbe fatto coppia con un altro formidabile terzino, Monzeglio. Prima di partire, però, deve ave­re una risposta. Da Gaudioso. Che in un giorno di fine luglio si presenta nella stanza di Gigi con una cattiva notizia: «Nani non scuce». Sì, i soliti nomi: Nani, Gaudioso, Allemandi. I soliti so­spetti, anche. Ma allora, che co­sa era successo alla vigilia di quel derby, che il Toro doveva vincere "a tutti i costi"?  Era suc­cesso che lo sprovveduto diri­gente del Torino aveva accettato la proposta di Gaudioso e aveva allungato 25.000 lire ad Alle­mandi con la promessa di far­gliene avere altrettante a partita giocata (e vinta). 50.000 lire... 50.000 lire erano cinque balilla una dietro l'altra. 125 volte lo stipendio mensile che gli passa­va la Juve.  Poi, il match era an­dato come era andato: il Torino aveva vinto, sì, ma Allemandi in campo si era fatto in tre, come al solito. E Nani non aveva nessu­nissima intenzione di sganciare la seconda rata. Questa era la ri­sposta che attendeva quel giorno di fine luglio Allemandi, questo gli fece sapere Gaudioso. E que­sto fu quanto venne a sapere -troppo calda quell'estate, troppe le finestre aperte, troppo affolla­ta la pensione di Piazza Madon­na Degli Angeli - l'uomo che oc­cupava la stanza vicina.  Ferminelli era un giornalista ro­mano trapiantato da qualche an­no a Torino, dove, dopo un breve periodo di apprendistato alla Stampa, era stato assunto come redattore al Paese Sportivo.  Tipo permaloso, questo Ferminelli: a inizio stagione il Torino non lo aveva incluso nell'elenco degli aventi diritto alla tessera perma­nente per il Filadelfia. Lui (sem­bra storia di oggi...) Se n'era la­gnato con la società, che si era scusata per l'equivoco e lo aveva invitato a passare in sede per ri­tirare l'agognata tessera. «eh no», era stata la risposta. «sta a voi farmela avere al giornale».Polemicuccia meschina fin­ché si vuole, ma sta di fatto che il Toro non spedì un bel nulla e Fermi­nelli mai si de­gnò di alzare il posteriore dal­la sua confor­tevole poltrona. In compenso, però, vergò per tutta la stagione articoli di fuoco contro il Torino, che comparvero pure su un foglio milanese, Lo Sport, e su un settimanale satiri­co romano, il Tifone. Anche Fer­minelli boccheggiava per il cal­do in quelle interminabili gior­nate di fine luglio, a Torino. Abitava in pieno centro: in una pen­sione di Piazza Madonna Degli Angeli. Figurarsi il godimento dello scriba quando le urla sempre più alte di Allemandi e Gaudioso in­vasero la sua stanza. Un pezzo sensazionale, servito a domici­lio, e perdipiù capace di affossare l'odiato Torino. Su Lo Sport uscirono poche righe. I redattori milanesi vollero affrontare l'ar­gomento con tanta cautela da rendere le allusioni contenute in un breve trafiletto assolutamente incomprensibili. Quelli del Tifo­ne, invece, spararono un bel tito­lo: «c'è del marcio in Danimar­ca». E sotto, la piccata ricostru­zione dei fatti del Ferminelli che avanzava sospetti sulla legitti­mità dello scudetto appena asse­gnato. Poi, il silenzio. Silenzio espressamente richiesto dalla federazione al direttore del fo­glio romano: era scattata l'in­chiesta e non erano gradite inter­ferenze. Il giallo richiedeva un ispettore: fu Giuseppe Zanetti, il segretario della federcalcio che aveva rifiutato la tessera fa­scista.  «fu una inchiesta minu­ziosa», ricorderà lo stesso Za­netti molti anni dopo, «condotta in tutta segretezza con indagini svolte in Piemonte, in Lombar­dia e in Sicilia. In uno di questi viaggi venne visitata la pensione che ospitava Allemandi, Gau­dioso e il giornalista per rileva­re l'ubicazione delle camere. In quella di Allemandi vennero no­tati dei pezzettini di carta nel ce­stino, pezzettini di carta che ven­nero raccolti pensando che avessero potuto avere un riferi­mento con la questione che inte­ressava. Infatti, incollati questi pezzettini su della carta traspa­rente (lavoro che durò ben di­ciotto ore) si potè ricostruire una lettera con cui Allemandi si lagnava del mancato versamen­to delle venticinquemila lire, so­stenendo di aver collaborato e non poco alla conquista dello scudetto da parte dei granata. Non occorreva altro, ma era co­munque necessario arrivare alla prova dei fatti senza far uso di quella lettera dalla quale non si riusciva a capire il perché non era stata spedita ma gettata nel cestino». I protagonisti dell'intrigo vengo­no convocati e sottoposti a con­fronti incrociati. Oltre ad alle­mandi, sono invitati a presentar­si a bologna, davanti al diretto­rio federale, altri due juventini: munerati e pastore. L'inchiesta procede fino all'inizio di no­vembre, quando ormai la stagio­ne sportiva 1927-28 è in pieno svolgimento. Il 3 novembre, tre giorni prima di un importantissi­mo Italia-Austria valido per la coppa Internazionale, Nani crolla, trascinando con sé il truce Gaudioso. E Arpinati non perde tempo, benché si sia a po­che ore da un incontro tanto de­licato. Il 4 novembre un comuni­cato della federcalcio costringe molti giornali all'edizione straordinaria:  «il direttorio fe­derale, accertato anche per con­fessione del dottor Nani, consi­gliere del Torino, che egli ha versato al signor Gaudioso, pu­re confesso, lire 25.000 destina­te a taluno dei giocatori della Juventus per assicurare illegitti­mamente al Torino la vittoria nella gara del 5 giugno, delibera di togliere al Torino il titolo di Campione Assoluto D'Italia, per l'anno sportivo 1926-27».  A To­rino restano di sasso, mentre l'I­talia si interroga: cosa nasconde quel "taluno"? Arpinati scioglie il dubbio quarantatt'ore dopo in un'intervista alla gazzetta dello sport:  «non sono uomo da mi­steri. Dite pure, prima ancora che esca il comunicato ufficiale, che stanotte mi è stato possibile individuare il giocatore verso il quale il signor Gaudioso avreb­be esercitato con successo la propria opera di corruzione. Si tratta dell 'ex juventino Allemandi che ho intenzione di squalifi­care a vita. Ove altre responsa­bilità venissero alla luce, col­pirò con la medesima fermezza: ne potete essere certi» La sen­tenza definitiva arriva il 21 no­vembre ed è per certi versi sor­prendente:  «il direttorio federa­le conferma le precedenti deci­sioni e squalifica a vita Luigi Allemandi, della cui colpevolez­za è stata pienamente raggiunta la prova; richiama il giocatore Munerati a una più esatta com­prensione dei suoi doveri in quanto un calciatore tesserato non può accettare doni di qual­siasi entità o natura da iscritti ad altre società; deplora e proi­bisce il malcostume delle scom­messe anche di lieve cifra, spe­cie quelle tenute contro le sorti dei propri colori e ammonisce per questa trasgressione il gio­catore Pastore, lieto di constata­re come l'episodio che ha dato luogo alle accennate sanzioni sia circoscritto a un solo gioca­tore e non possa quindi gettare ombra né onta sulla grande massa dei calciatori italiani». Il caso è chiuso. Chiuso? Beh, insomma.
La sen­tenza che sancisce la squalifica a vita del povero Allemandi  (pe­raltro amnistiata nel giro di un anno) se la cava con un simpati­co buffetto a Munerati, che - a quanto si desume - avrebbe ac­cettato un "dono" da parte di una società avversaria (e Alle­mandi cosa aveva fatto?) E a Pa­store che addirittura avrebbe scommesso sulla sconfitta della propria squadra. Il finale poi ha tutta l'aria di una giustificazione non richiesta (accusa manifesta, dicevano i latini): l'episodio è circoscritto - si sottolinea - e non scredita la «grande massa dei calciatori italiani». Insomma, le zone d'ombra sono parecchie.  Perché Allemandi pretende con tanta foga la seconda rata del pa­gamento di Nani, pur essendo stato uno dei migliori in campo nel derby incriminato? Forse perché era un semplice inter­mediario che doveva girare i soldi ai diretti interessati? Il torinista Baloncieri qualche anno dopo lascerà ai posteri una frase sibillina: «un fatto dubbio si era presentato agli inquirenti: quel­lo di sospettare di un altro atle­ta che, per la sua dirittura mora­le, era inattaccabile». Magari quello che aveva aperto inspie­gabilmente le gambe al passag­gio del tiro non irresistibile di Balacics, che aveva consentito al Toro di pareggiare?  Gianni Brera, nella sua storia critica del calcio italiano, la ri­solve così: «a questo punto, non sembra necessario essere Sherlock Holmes per appurare come sia andata, e subito dopo capire come abbia potuto Allemandi militare nell'Inter di Giovanni Mauro, vicepresidente della fe­derazione e temibile capo degli arbitri. I sottili ricatti reciproci avevano lasciato alla Juventus il terzino più dotato di classe (Ro­setta) e avevano impedito al Bo­logna di acquistare un terzino che avrebbe fatto irresistibile coppia con il suo Monzeglio ai mondiali 1934».  Il sacrificio di Allemandi, insomma, giova pa­radossalmente alla Juventus, che in questo modo evita di perdere altri giocatori. E perché una vol­ta tanto l'inflessibile presidente non usa il pugno di ferro? Chis­sà. Certo, è curioso notare che solo un anno prima (il 2 maggio 1926) Edoardo Agnelli, per conto del padre Giovanni, aveva ceduto ad Arpinati l'intero pac­chetto azionario degli stabili­menti poligrafici riuniti, società editrice del Resto Del Carlino. E benché Arpinati, come pare, si fosse deciso all'acquisto più per pressioni esterne che per un ef­fettivo interesse, l'affare appena concluso lo collocava in una po­sizione di evidente soggezione nei confronti della potente fami­glia torinese. Inconvenienti - mettiamola così - del conflitto di interessi... E Allemandi? Non volle più tor­nare sull'argomento. Solo nel 1976, poco prima di morire, con­fessò a Carlo Moriondo di Stam­pa Sera: «sì, c 'era stato qualco­sa di poco chiaro quel giorno. Ma il colpevole non ero io...». L'impressione che il losco trian­golo Nani-Gaudioso-Allemandi non fosse che la punta dell'ice­berg la dà peraltro lo stesso Ar­pinati quando spiega perché non sarà il Bologna, secondo classi­ficato, a fregiarsi del titolo di Campione D'Italia. Dalla gazzet­ta dello sport del 7 novembre 1927: «il titolo passerà ora al bologna? Assolutamente no. Il risultato dell'inchiesta è tale che ho riportato l'impressione pre­cisa che talune partite di cam­pionato abbiano falsato l'esito del campionato stesso. Il Bolo­gna non avrà perciò il titolo tol­to al Torino; il campionato 1926-27 non avrà il suo vincito­re». Probabile che Arpinati si ri­ferisse anche al caso Pinasco (l'arbitro che ammise l'errore tecnico in Torino-Bologna con un mese di ritardo) o ad altre vi­cende mai venute in superficie. Eppure nel corso degli anni da Torino e da Bologna si sono susseguiti a intervalli più o me­no regolari appelli, raccolte di firme e addirittura interrogazio­ni parlamentari, per riaprire il fascicolo e assegnare una volta per tutte lo scudetto di nessuno. Uno scudetto che però non può andare a Torino perché - fosse o non fosse Allemandi l'unico colpevole - è provato che la corruzione avvenne, anche se Nani agì, come continuò a ripe­tere, a titolo personale.  Uno scudetto che, tutto sommato, non può neppure scendere sulla maglia dei secondi classificati, sui quali si allunga, inquietante, l'ombra dello spinoso e mai del tutto chiarito caso pinasco. Se Arpinati non premiò il "suo" Bologna, lasciando che il primo campionato della sua gestione si chiudesse senza un vincitore, non lo fece, evidentemente, so­lo per dimostrarsi al di sopra delle parti.

Campionato Divisione Nazionale 
Eliminatorie Nazionali: Girone A  

03/10/1926
Juventus - Hellas Verona
6 - 0
10/10/1926
Juventus - Casale
4 - 0
17/10/1926
Modena - Juventus
1 - 1
24/10/1926
Pro Vercelli - Juventus
0 - 0
07/11/1926
Juventus - Inter
4 - 1
14/11/1926
Juventus - Alba Roma
2 - 0
21/11/1926
Napoli - Juventus
0 - 3
28/11/1926
Juventus - Brescia
2 - 0
05/12/1926
Genoa - Juventus
1 - 2
19/12/1926
Hellas Verona - Juventus
1 - 0
26/12/1926
Casale - Juventus
0 - 2
02/01/1927
Juventus - Modena
7 - 2
09/01/1927
Juventus - Pro Vercelli
0 - 1
06/02/1927
Inter - Juventus
3 - 0
13/02/1927
Alba Roma - Juventus
0 - 1
06/03/1927
Juventus - Napoli
8 - 0
13/03/1927
Brescia - Juventus
0 - 2
20/03/1927
Juventus - Genoa
0 - 0
Girone Finale

27/03/1927
Bologna - Juventus
1 - 0
03/04/1927
Juventus - Torino
1 - 0
10/04/1927
Inter - Juventus
2 - 1
08/05/1927
Juventus - Genoa
6 - 0
15/05/1927
Milan - Juventus
0 - 2
22/05/1927
Juventus - Bologna
1 - 1
05/06/1927
Torino - Juventus
2 - 1
19/06/1927
Genoa - Juventus
2 - 3
26/06/1927
Juventus - Inter
1 - 3
10/07/1927
Juventus - Milan
8 - 2

     Girone A

Squadra
Pt
G
V
N
P
GF
GS
DR
Juventus
27
18
12
3
3
44
10
+34
Inter
27
18
12
3
3
49
22
+27
Genoa
24
18
10
4
4
37
15
+22
Casale
21
18
9
3
6
24
22
+2
 Pro Vercelli
20
18
7
6
5
27
22
+5
Modena
18
18
6
6
6
21
27
-6
Brescia
15
18
6
3
9
28
35
-7
Verona
15
18
6
3
9
19
35
-16
Alba Audace
12
18
5
2
11
25
32
-7
Napoli
1
18
0
1
17
7
61
-54

Girone B

Squadra
Pt
G
V
N
P
GF
GS
DR
 Torino
26
18
12
2
4
52
25
+27
 Milan
24
18
11
2
5
41
27
+14
 Bologna
24
18
11
2
5
38
26
+12
 Alessandria
21
18
9
3
6
42
24
+18
 Livorno
20
18
9
2
7
32
28
+4
 Sampierdarenese
20
18
9
2
7
31
36
-5
 Padova
15
18
7
1
10
29
44
-15
 Andrea Doria
13
18
5
3
10
16
31
-15
 Cremonese
12
18
6
0
12
19
35
-16
 Fortitudo Pro Roma
5
18
2
1
15
18
42
-24

Girone finale

Squadra
Pt
G
V
N
P
GF
GS
DR
Torino
14
10
7
0
3
17
15
+2
Bologna
12
10
5
2
3
14
6
+8
Juventus
11
10
5
1
4
24
13
+11
Genoa
9
10
4
1
5
15
21
+6
Inter
8
10
3
2
5
13
16
-3
Milan
6
10
2
2
6
13
25
-12

Dal momento che un membro del consiglio di amministrazione del Torino dichiarò di aver pagato per ottenere la vittoria nella partita Torino-Juventus giocata il 5 giugno 1927, il Torino dovrebbe essere considerato squalificato e le altre gare disputate invece ricalcolate per assegnare lo scudetto. Lo faccio ora io.

Classifica finale

Pos.
Squadra
Pt
G
V
N
P
GF
GS
DR
1.
 Bologna
10
8
4
2
2
9
5
+4
2.
 Juventus
9
8
4
1
3
22
11
+11
3.
 Inter
8
8
3
2
3
11
12
-1
4.
 Genoa
7
8
3
1
4
11
17
-6
5.
 Milan
6
8
2
2
4
10
20
-10

 Il Bologna sarebbe stato Campione d’Italia

In verità Edoardo Agnelli concesse la maggioranza delle azioni de Il Resto del Carlino a Leandro Arpinati perché aveva capito che il fascismo stava andando incontro ad una pericolosa deriva, e vedeva nel gerarca e protettore del Bologna un uomo leale che potesse porre un freno alla follìa, come la storia ha dimostrato fu infatti allontanato da Mussolini pur essendo stato precedentemente un uomo molto in vista del partito. Inoltre il Torino non era “rosso” (socialista), semplicemente odiava il Bologna di Arpinati che l’aveva estromesso dalla corsa al titolo del 1926, infatti i granata tifarono durante la semifinale del Campionato per la rivale cittadina Bianconera contro il Bologna.