1925-1926
Il burrascoso epilogo del campionato del 1925, a sua volta segnato dal non tranquillo esito di quello del '24, obbligò a riconsiderare la struttura del Progetto Pozzo, che conferiva ad una doppia finale il compito di
assegnare lo scudetto, in quanto tali appuntamenti si erano rapidamente riempiti
di una tensione tale da comportare ingestibili problemi di ordine pubblico. Si
fece dunque largo l'idea dell'istituzione di una divisione d'onore a girone
unico a 16 squadre. Tale proposta aveva anche il pregio di aumentare gli
scontri diretti fra le maggiori società nazionali, ridottisi dopo la divisione
in due gironi separati. L'attuazione di tale piano imponeva, tuttavia, la
riduzione del numero delle partecipanti al torneo: venne dunque deciso,
all'assemblea federale del 17
agosto 1925, che, a fine stagione, sarebbero state ben quattro le
retrocessioni per ogni girone della Lega Nord. Poiché fortemente appoggiato dal regime,
l'intero piano trovò minori resistenze del suo predecessore, la cui attuazione aveva portato alla crisi del 1921.
Il Fascismo, infatti, si era accorto dell'enorme potenziale
d'attrazione sulle masse che il calcio sapeva esercitare, e volle dunque
sfruttarlo a suo vantaggio. Se Mussolini, generalmente poco interessato alle competizioni di
squadra, non si interessò mai veramente a quello che, dopo la Grande Guerra era divenuto a tutti gli effetti lo sport nazionale, lo stesso non poteva dirsi di molti gerarchi
che, tifosi se non dirigenti di svariate società, cercarono a più riprese di
intervenire a favore delle proprie compagini, talvolta sobillando in prima
persona disordini e problemi di ordine pubblico. Il caso più emblematico fu
quello di Leandro Arpinati, che arrivò addirittura alla presidenza della FIGC a fine stagione apportando, con la Carta di Viareggio, una drastica ristrutturazione dell'organizzazione del
calcio italiano. I campioni d'Italia del Bologna partirono lanciatissimi, ottenendo ben dieci successi
consecutivi nelle prime dieci giornate di campionato, e venendo fermati sul
pareggio per la prima volta solo a gennaio, in quel di Genova,
di fronte all'Andrea Doria. Autentico
trascinatore dei felsinei fu, come l'anno precedente, il ventenne Angelo Schiavio, capace di mettere a segno ben 27 gol nel solo girone
eliminatorio. Nonostante questa marcia da record, i rossoblu si trovarono
sempre alle calcagna un ritrovato Torino, rilanciato dall'aristocratico e facoltoso presidente Enrico Marone Cinzano, e rafforzato dal fortissimo centravanti Adolfo Baloncieri, prelevato in estate dall'Alessandria. I granata, sconfitti a Bologna, non si diedero per vinti, motivati anche dagli evidenti
segni di flessione che i rossoblù cominciarono a dare nel girone di ritorno. Fu
lotta serrata, risolta solo a causa della clamorosa sconfitta in cui i
torinisti incapparono alla terz'ultima giornata in casa dell'Udinese, squadra già praticamente retrocessa. I sei gol con cui il
Toro sommerse un Bologna ormai alle corde nello scontro diretto, posticipato
dalla FIGC all'ultima giornata onde disputarlo a giochi già chiusi
evitando così nuovi incidenti tra i tifosi, non fece altro che accrescere il
rammarico per un'occasione che parve sprecata per ottenere il primo scudetto in casa granata. Nell'altro raggruppamento la notizia fu
invece il crollo del Genoa, che nelle precedenti quattro stagioni era sempre giunto
in finale, cogliendo due scudetti. La formazione rossoblù cominciò a risentire del passare
del tempo ma soprattutto, ancorata alla sua matrice essenzialmente genovese, cominciava a perdere posizioni in un calcio dove, seppur
nascostamente, cominciava a tessersi una sempre più fitta tela di calciomercato. Fuori dai giochi i favoriti liguri,
nel girone si assistette dunque alla marcia solitaria della Juventus : la formazione bianconera, da due stagioni in mano alla famiglia Agnelli, era stata fortemente rafforzata dalla nuova dirigenza con
gli attaccanti Piero
Pastore e Férénc
Hirzer e il terzino Virginio
Rosetta. Punto di forza tradizionale, inoltre, era il
portiere della Nazionale Gianpiero
Combi, perno di un'impenetrabile difesa che rimase
imbattuta per dieci giornate consecutive. I bianconeri segnarono simbolicamente
il passaggio di consegne fra il vecchio e il nuovo calcio italiano andando a
vincere all'ultima giornata a Marassi. Come
ampiamente previsto, in zona retrocessione caddero squadre di minor spessore:
per Mantova, Parma,Reggiana e Udinese la gloria della massima Divisione durò non più di uno o due
anni. Sul fondo della classifica del Girone A rimasero Legnano e Pisa, che caddero con Alessandria e Novara, ultimo ad arrendersi. Con la Carta di Viareggio, però, le otto retrocesse rientrarono in gioco disputando,
a settembre, un piccolo torneo che avrebbe garantito alla vincitrice
il ripescaggio in massima divisione. Prevalse l'Alessandria, che andò così a
completare il novero delle partecipanti al campionato successivo. La finale fra Juventus e Bologna si svolse, come oramai consuetudine, in piena estate. I
rossoblù si presentavano da campioni uscenti, mentre i bianconeri arrivavano
all'ultimo atto del campionato dopo cinque anni di assenza. La gara di andata,
giocata al campo "Sterlino" di Bologna, vide i padroni di casa portarsi in vantaggio nel primo
tempo con Bernardo Perin; nella seconda frazione, i piemontesi ribaltarono la situazione con una doppietta del magiaro Férénc Hirzer, mentre fu Muzzioli a segnare la rete della parità. Nel
ritorno in corso Marsiglia a Torino prevalse probabilmente la paura di perdere, e scaturì una
scialba gara a reti bianche, rendendo così necessario uno spareggio che la Federazione fissò per la settimana seguente a Milano.
In tale match, arbitrato come i precedenti dall'onnipresente signor Gama, i
rossoblù mostrarono quei segni di stanchezza che ne avevano contrassegnato la
seconda parte della stagione. Subendo la rete di Piero Pastore nel primo tempo, riuscirono a pareggiare col bomber Angelo Schiavio, ma non seppero recuperare il gol decisivo di Antonio Vojak, siglato a un quarto d'ora dallo scadere dell'incontro. In
pieno agosto la Juventus liquidò infine con facilità i romani dell'Alba, detentori del
titolo meridionale, e si aggiudicò così il secondo scudetto della sua storia .
Lo spareggio con il Bologna la Juve lo disputò con il lutto al braccio perché
dopo lo 0-0 a Torino morì per crepacuore il proprio allenatore, Jenő Károly (sostituito dopo la sua morte da József Viola). I Bianconeri giocarono una partita memorabile onorandolo
tra le lacrime. Nella finalissima non ci fu storia, la Juve travolse l’Alba
Roma 7-1 a Torino e 5-0 a Roma.
|
Classifica Finale 1ª Divisione gir. B Lega Nord 1925-26
Pt
|
G
|
V
|
N
|
P
|
GF
|
GS
|
|
37
|
22
|
17
|
3
|
2
|
68
|
14
|
|
29
|
22
|
13
|
3
|
6
|
41
|
25
|
|
28
|
22
|
13
|
2
|
7
|
48
|
29
|
|
25
|
22
|
11
|
3
|
8
|
55
|
33
|
|
25
|
22
|
11
|
3
|
8
|
43
|
45
|
|
23
|
22
|
10
|
3
|
9
|
38
|
43
|
|
22
|
22
|
9
|
4
|
9
|
42
|
31
|
|
22
|
22
|
10
|
2
|
10
|
43
|
39
|
|
17
|
22
|
7
|
3
|
12
|
30
|
50
|
|
16
|
22
|
7
|
2
|
13
|
41
|
48
|
|
12
|
22
|
5
|
2
|
15
|
23
|
58
|
|
8
|
22
|
2
|
4
|
16
|
24
|
81
|
Finale Lega
Nord
Bologna
|
2 - 2
|
Juventus
|
11 luglio 1926
|
Juventus
|
0 - 0
|
Bologna
|
25 luglio 1926
|
Juventus
|
2 - 1
|
Bologna
|
1agosto 1926
|
Finalissima
Juventus
|
7 - 1
|
Alba
|
8 agosto 1926
|
Alba
|
0 - 5
|
Juventus
|
22
agosto 1926
|
Juventus Campione d'Italia 1925-26
2°Titolo di Campione d’Italia (1°scudetto) dopo il Campionato
Federale del 1905 +1 Campionato Federale nel 1908 +1 Campionato Italiano nel
1909 +3 secondi posti (1903, 1904, 1906) +2°posto nella fase finale del Gruppo
Nord girone A 1919-1920 (15 vittorie totali, 5 pareggi e 2 sconfitte) +1°posto
“sul campo” nel Gruppo Eliminatorio Nord girone A 1923-1924 (14 vittorie, 4
pareggi e 4 sconfitte le gare reali terminate sul campo da gioco anziché 11
vittorie, 4 pareggi e 7 sconfitte con 3 sconfitte decise dalla Lega Nord ente
ufficioso in contrasto con la FIGC ente ufficiale).
Da Il pallone racconta : 22.8.1926: SCUDETTO
DA “LA STORIA DELLA JUVENTUS” DI PERUCCA, ROMEO E COLOMBERO:
Ed ecco, ventun anni più tardi, il secondo scudetto. La squadra,
se non proprio rifatta, è stata ritoccata per metà. Uomini che hanno scritto
belle pagine della storia bianconera, come Grabbi o Gianfardoni, sono ormai a
mezzo servizio; arrivano Allemandi, terzino dalle ottime risorse, Torriani, un
buon tornante, soprattutto l’ungherese Hirzer detto la Gazzella. È una Juventus
molto ungherese, che oltre alla gazzella conta su Viola e sull’allenatore
Karoly. C’è poi un acquisto dell’ultima ora, Vojak, slavo di Pola che arriva
dalla Lazio. Dopo aver patito una sconfitta salutare alla terza giornata, che
fa comprendere come la concentrazione debba essere sempre massima, i bianconeri
ingranano la quarta e staccano ben presto tutte le rivali. Giocano nel girone B
della Lega Nord, conquistano il diritto a battersi per la finale addirittura
con tre giornate d’anticipo, quando a metà maggio sconfiggono seccamente a
Torino la concorrente diretta per la promozione, la Cremonese. Perderanno poi a
Reggio Emilia, ma la mente è ormai concentrata sulla finale, sull’altro girone
dove Bologna e Torino danno vita ad una lotta serrata risolta a favore degli
emiliani soltanto in extremis.
Siamo alle tanto attese finali, dunque. L’andata si disputa a
Bologna l’11 luglio, con una gran folla che incita i rossoblu. In effetti si
scatena la squadra di casa, si porta in vantaggio per 2-0, sembra
irraggiungibile. Ma non ha fatto i conti con l’orgoglio bianconero e nella
ripresa la velocità e la tecnica della Gazzella Hirzer fanno breccia due volte:
è il pareggio. Hirzer è subissato di abbracci dai suoi, in effetti con le 35
reti messe a segno nel torneo sarà decisivo nella conquista di questo scudetto.
Partita di ritorno a Torino, campo di corso Marsiglia, 25 luglio. Karoly,
l’allenatore, ha qualche timore, esclude Pastore che pure è il secondo goleador
bianconero (27 reti in totale, nell’anno) ma è anche un bel ragazzo e pensa a
volte più alla carriera cinematografica (che infatti tenterà in seguito) che
non al pallone. Così torna Rosetta all’attacco e non ne può sortire, dalle
reciproche paure, che uno 0-0. Karoly si dispera, ha perso la grande occasione
di chiudere il discorso con il fattore campo a favore, ora ci sarà la bella in
campo neutro. Quest’uomo in passato così sereno è sofferente, abbattuto:
quattro giorni più tardi la sua tragedia si compirà. E la domenica, sul campo
dell’Arena di Milano, mentre si sta finendo di costruire San Siro, la squadra
gioca con rabbia e dolore anche e soprattutto per il suo allenatore. Proprio
l’estroso e discontinuo Pastore, escluso nell’ultimo incontro, segna la prima
rete e Vojak metterà il sigillo a questa stagione dopo il pareggio di Schiavio.
Quando i bianconeri tornano a Porta Susa c’è folla ad attenderli, c’è festa ed
amarezza insieme ricordando l’allenatore scomparso. Si scrive tra l’altro,
all’epoca: «Il titolo andò alla squadra più degna. Su questo punto non vi
sono dubbi da sollevare, né discussioni da avanzare. Per comune consenso la
squadra che si è dimostrata più compatta ha strappato la vittoria. Il bellissimo
gesto di Gianni e Della Valle, che toltesi le maglie con lo scudetto tricolore
sono andati a farne omaggio rispettivamente a Combi e Bigatto, è una riprova di
quella che era la convinzione in campo bolognese: che la sconfitta fosse stata
regolare ed ai migliori fosse toccata la palma». Già, perché il Bologna
aveva vinto lo scudetto l’anno precedente, dopo quelle drammatiche cinque
finali col Genoa. Abbiamo detto dunque scudetto alla Juventus, ma in realtà
abbiamo precorso i tempi. Da anni la vincente dello spareggio nella Lega Nord
era considerata a tutti gli effetti campione prima ancora di giocare le due
partite conclusive contro la squadra qualificatasi attraverso i vari gironi
della Lega Sud, perché era grande la differenza di gioco e tecnica fra i due
blocchi del calcio italiano. Ma la Juventus in agosto deve andare ad adempiere
a quella che è considerata da tutti una formalità, la finalissima per il titolo
con la squadra romana dell’Alba. Ed una formalità è davvero, 12 goal segnati ed
uno soltanto subito in due partite. Si legge, sui giornali: «Confesso che
sono uscito dal campo della Juventus (dopo il 7-1 dell’andata, ndr) senza
ricordare con precisione quale fosse il numero dei goal con cui si era
concretata la vittoria della squadra torinese. Sei, sette, dieci? Ma il numero
non conta. Quello che conta è il modo con cui la vittoria fu ottenuta. Quello
che emerge è l’enorme differenza di classe esistente fra le due squadre. Io
giungo al punto da dubitare che l’Alba non abbia potuto svolgere il suo gioco,
che abbia disputato la gara al di fuori della sua forma. Non posso infatti
pensare che gli attuali reggitori del football italiano, che mi rifiuto di
credere incompetenti, abbiano commesso l’errore di giudicare l’Alba degna di
far parte della divisione d’onore, se non erano in possesso di prove ben più
conclusive sul valore e sulla classe della squadra romana». Il Sud, con pochi
mezzi, comunque si batteva, ed è stato importante che abbia avuto la
possibilità fin da allora di mantenere i contatti col grande calcio, che gli
hanno permesso di crescere fino alla dignità odierna. Ma allora il problema
esisteva e si andrà infatti, nel giro di pochi anni, proprio per ovviare a
queste finalissime burletta, a decidere di compiere il grande passo, si andrà al
girone unico. Gloria dunque alla Juventus in questa stagione con lo scudetto,
meritatissimo, numero due.
1926-27
Nel campionato nazionale
1926-1927, la Juventus si classificò nel primo posto
del suo girone con 27 punti, 44 reti a favore e 10 contro. Nel girone finale
della Divisione Nazionale a sei squadre, i bianconeri si classificarono al
terzo posto con 11 punti, 24 reti a favore e 13 contro, dopo le vittorie
storiche contro il Genoa (6-0 a Torino; 3-2 a Genova) e contro il Milan (8-2 a
Torino il 10 luglio 1927). La Juventus partecipò anche alla prima edizione della Coppa Italia e raggiunse la quarta fase eliminatoria, dopo le vittorie
in trasferta contro il Cento per 15 a 0 il 6
gennaio – vittoria con la maggiore differenza reti della storia
bianconera –, e contro il Parma per 2 a 0 il 27
febbraio dello stesso anno. La gara del quarto turno contro il Milan non fu disputata, al pari di altre otto partite, per
l'interruzione del torneo per mancanza di date disponibili tra le formazioni
classificate. Il campionato1926-1927 segnò l'inizio del dominio delle squadre
metropolitane sul campionato, e il conseguente declino delle provinciali,
limitate dall'insorgere del professionismo sostenuto dai grandi capitali
finanziari. Le sei finaliste furono infatti tutte espressione delle quattro più
grandi città del Nord. Dopo un lustro di mediocrità, si rifecero vive anche le
due milanesi. Molto regolare fu il cammino dei campioni in carica della Juventus, la cui partecipazione alle finali non fu mai in dubbio, non ebbe
problemi neppure l'Inter, che anzi ottenne un
risultato di prestigio battendo i bianconeri a Milano. Assai faticosa fu invece
la qualificazione del Genoa, costretto a rincorrere il Casale e capace di averne ragione solo grazie a una provvidenziale
vittoria nello scontro diretto di Marassi, a cinque gare dal termine. Speculare l'esito dell'altro
raggruppamento. Anche qui la vincitrice fu una torinese, il Torino,
inseguita da una milanese, il Milan, che giocò la prima stagione nel nuovo stadio di San Siro, dove furono sconfitti gli stessi granata. Più incerta la
qualificazione delBologna, che grazie a un
autorevole girone di ritorno seppe tenere a bada l'Alessandria e il Livorno, l'ultimo ad arrendersi. In zona
retrocessione, le tre “debuttanti” del Sud ebbero il primo scottante contatto
con la realtà del calcio settentrionale, dotato di un tasso tecnico nettamente
superiore a quello dell'ex-Lega Sud. L'Alba Audace riuscì a compiere un discreto percorso iniziale, ma si
perse alla distanza e usci sconfitta da quattro delle ultime cinque partite,
venendo superata sia dalVerona sia dal Brescia,
che la relegarono al fatale penultimo posto. Non ebbe invece mai speranze
l'altra squadra romana, la Fortitudo, che conobbe nella vittoria casalinga sul Torino l'unico
lampo di una stagione oscura. Discorso a parte va fatto per il Napoli,
che al suo primo anno di vita fu protagonista di una stagione disastrosa: il
solo punto ottenuto fu strappato dai partenopei al Brescia, grazie a un
pareggio in casa a reti bianche. La Federazione non poté che prendere atto dell'inadeguatezza del calcio
meridionale in un torneo unificato; fedele comunque al progetto di un
campionato nazionale, decise di ripescare tutte le retrocesse, avendo ottenuto
da una parte precise garanzie di campagna acquisti dal presidente partenopeo Giorgio Ascarelli, e dall'altra sostenendo la fusione fra Alba, Fortitudo e Roman Football Club, sotto la regia diItalo Foschi, dando così vita alla AS
Roma. Nel girone finale sei
grandi firme del calcio italiano si ritrovarono a contendersi lo scudetto del 1927; fra di esse, l'unica a non aver mai vinto il titolo in
precedenza era il Torino. La nuova formula del torneo riproponeva, dopo sei anni, i derby fra squadre della stessa città.. Fu invece proprio il
Torino a spiccare il volo: trascinati dal cosiddetto Trio delle Meraviglie
composto dall'argentino Julio Libonatti,
dal piemontese Adolfo
Baloncieri e dalligure Gino Rossetti,
i granata ottennero due fondamentali successi casalinghi sul Bologna e nel derby. Fu così che, il 19
giugno battendo il Milan, il Torino poté festeggiare il suo primo
storico tricolore. Ma l'autunno successivo, le conseguenze del cosiddetto
"Caso Allemandi" privarono i granata
di questo trionfo. Ad inchiodare i torinesi fu proprio la vittoria nel
derby, ritenuta conseguita in maniera truffaldina. Secondo le cronache, Luigi Allemandi, terzino della Juventus, fu avvicinato da un dirigente
granata, il dottor Nani, che lo avrebbe corrotto anticipandogli metà della
somma pattuita, 50.000 lire, affinché questi addomesticasse il derby in programma per il 5
giugno. Nella gara incriminata, Allemandi si segnalò
però tra i migliori in campo: Nani si rifiutò, quindi, di pagare il resto del
pattuito al calciatore e la discussione che si accese tra i due in un albergo torinese fu udita da un giornalista, che denunciò il fatto sul
giornale Il Tifone. Alle indagini della Federcalcio, guidata da Leandro Arpinati, seguì la sentenza, che revocò lo scudetto al Torino e
squalificò a vita Allemandi, nel frattempo passato all'Inter, il quale godette
tuttavia di un'amnistia in seguito al
terzo posto della Nazionale alle Olimpiadi
del 1928. Il titolo rimase non aggiudicato.[1]
[1] : Nel Campionato di Divisione Nazionale 1926-27 il vincitore fu il Torino,
ma lo scudetto venne revocato nel corso della stagione successiva perché un membro
del consiglio di amministrazione del Torino dichiarò di aver pagato per ottenere la vittoria nella
partita Torino-Juventus (vinta dal Torino 2-1), giocata il 5
giugno 1927. Questo fu il primo campionato italiano organizzato su
base nazionale.
Il caso Allemandi (Opinioni di G.Brera e compagnia bella. Da “Il pallone racconta” )
Il 1926, per l'italia del pallone, è l'anno della riforma. Una
riforma finalmente capace di dare una struttura nazionale a un campionato
ancora organizzato sulla base di raggruppamenti regionali e di due leghe che
trova un brillante interprete in Leandro Arpinati,il
nuovo presidente della federcalcio. Fascista della prima ora, il romagnolo
arpinati nel '26 è un uomo in vertiginosa ascesa: podestà di Bologna,
segretario della federazione provinciale, vice segretario del partito, deputato
alla camera. Ma è anche un personaggio enigmatico, in grado di conciliare gli
ideali anarchici e le cariche fasciste, l'amicizia con Mussolini e le spietate critiche che mai
risparmierà al duce e che segneranno la fine prematura della sua carriera
politica. Con l'elezione di Arpinati la federcalcio si trasferisce a Bologna,
nonostante le resistenze delle società e della stampa del nord. Proteste che il
nuovo presidente non si preoccupa di mettere a tacere. Al noto giornalista Renato
Casalbore (il
fondatore di Tuttosport) che porta avanti una furiosa
campagna contro di lui, si limita a inviare un telegramma: «letto suo articolo. Ha
torto. Continui sua campagna. Rideremo prossimo incontro». Misteri dell'animo umano (o
della storia): l'uomo che nel 1920 aveva condotto, pistole alla mano, un
manipolo di camicie nere all'assalto di Palazzo D'Accursio, quando si trova ad
occupare cariche pubbliche, dimostra in genere una liberalità sorprendente.
Appena insediatosi nella nuova carica, nomina segretarioGiuseppe Zanetti, uno dei massimi esperti di
calcio in circolazione. Giocatore all'alba del secolo in Germania e in
Svizzera, fondatore del Modena, ha un solo insuperabile difetto secondo i
papaveri del partito: non ha mai voluto prendere la tessera del pnf : «ma io non ho chiesto un
fascista», fa sapere Arpinati. «ho chiesto un competente
e un galantuomo». Qualità che presto sarebbero
state messe a dura prova. Arpinati e Zanetti si mettono al lavoro e a
ottobre, finalmente, si parte. Ma
come si presenta la nuova creatura? Di sicuro più snella: delle 44 squadre che,
disseminate tra leghe, gironi regionali, semifinali interregionali, finali di
lega e finali nazionali, avevano affrontato il campionato precedente, ne
restano 20, divise in due gironi da 10. Senza alcun criterio geografico.
Al girone A sono iscritte Alba Roma, Brescia, Casale, Genoa, Hellas Verona, Inter,
Juventus, Modena, Napoli E Pro Vercelli. Al girone B: Alessandria, Andrea
Doria, Bologna, Cremonese, Fortitudo Roma, Livorno, Milan, Padova,
Sampierdarenese E Torino. Le migliori tre di ogni raggruppamento si qualificano
per la poule finale, che assegnerà il titolo. Squadre da battere: la
Juventus, campione in carica, il Bologna, finalista l'anno precedente e il
Torino. In seconda fila le milanesi e il Genoa. Pronostici rispettati : da una
parte passano al girone finale Juve, Inter e Genoa; dall'altra Torino, Bologna
e Milan. I superstiti tornano in pista a marzo e dopo quattro giornate tutti
hanno chiara la trama del film: se la giocheranno fino alla fine il Bologna di
Schiavio, Della Valle e Muzzioli e il Torino del supertrio Baloncieri, Libonatti,
Rossetti (44 gol in tre nella prima fase del torneo). Il 15 maggio è il gran
giorno: le due regine di fronte al Filadelfia. Segna Libonatti all'inizio del
secondo tempo, il Bologna barcolla, sbuffa, si riprende e assedia. Nel finale
l'area del Toro è un fortino: Sosia, il portiere, arriva a far scudo col
proprio corpo durante una furiosa mischia sulla linea di porta. «e'dentro», gridano i bolognesi. «sarà, ma io non ho visto un bel
nulla»,indietreggia l'arbitro Pinasco, la faccia stravolta di uno che non
ci capisce più niente e vorrebbe solo riabbracciare i propri cari. 1-0, finisce
così: Torino a 8 e Bologna a 6, raggiunto anche dalla Juventus. Comincia il
ritorno e il vantaggio granata aumenta, grazie a una vittoria esterna con
l’Inter, mentre Juve e Bologna si neutralizzano nello scontro diretto. Ultima
speranza di riaprire il torneo: il derby, che all'andata aveva vinto la Juve.
Il conte Marone, presidente del Toro, stavolta ci tiene a fare bella figura e
scommette una cena col "collega" Edoardo Agnelli. Arbitro della
scommessa il principe di Piemonte, nientemeno. Prima di partire per l'estero il
signor conte si raccomanda: «ci
sono partite che bisogna vincere a tutti i costi. Questa è una di quelle». Ma nella vita, purtroppo, c'è sempre
qualcuno che prende le cose alla lettera e Marone dovette rendersene conto in
quella circostanza. L'uomo del destino è un dirigente granata e si chiama
Nani. Ci tiene da matti a dimostrare il suo zelo e stenta a credere alle sue
orecchie quando tale Giovanni Gaudioso, studente catanese di ingegneria, gli
sbatte sotto il naso la proposta indecente: «sono
a pensione in piazza Madonna Degli Angeli». «embè?». «conosco bene Allemandi,
dorme lì anche lui. Volendo, si può trattare...».
Luigi Allemandi, aveva
24 anni, ed era uno dei più forti terzini in circolazione. Cresciuto nel Legnano
come mezzala, era stato retrocesso in difesa per poter sfruttare al meglio la
sua straripante potenza. Gianni Brera lo descriveva così: «era una forza scatenata della
natura. Portava la zazzera ricciuta e aveva del diavolo. I suoi spunti veloci
impressionavano come i suoi balzi acrobatici. Entrava primo sull'avversario
lanciato al goal ed erano veri sfracelli». Alla
Juve l'aveva portato Virginio Rosetta, che si era preso la briga di andarlo a
vedere di persona. Combi, Rosetta, Allemandi: l'imbattibile difesa della juve
campione d'italia era stata trasferita in blocco in Nazionale il 17 aprile di
quel 1927, a Torino, per un'amichevole (vinta 3-1) col Portogallo. Combi,
Rosetta, Ailemandi, Barale, Viola, Bigatto, Munerati, Vojak, Pastore, Ferrerò,
Torriani: si presenta così la Juve al Filadelfia il 5 giugno, per il gran
derby. E il Torino: Bosia, Balacics, Martin, Colombari, Janni, Sperone,
Carrera, Baloncieri, Libonatti, Rossetti, Franzoni. E allora? Attacca il Toro,
ma dalle parti di Combi non si passa.
Scrive Bruno Roghi, inviato della gazzetta dello sport: «i torinesi
lavorano a maglie fitte, ma Allemandi è imbattibile, interviene, è sicuro e
potente». Al 44' il colpo
di scena: passa la Juve, con Vojak. La ripresa è un assedio granata e quando
l'arbitro Gama assegna al torino una punizione dal limite si presenta sul
pallone il potente terzino ungherese Balacics: il tiro rasoterra non è
irresistibile, ma la palla buca la barriera, gol. Traiettoria strana, secondo
Roghi, il nostro "testimone oculare": il pallone è passato tra le
gambe curiosamente divaricate di uno Juventino. Allemandi? No, Rosetta. E il
Gigi? Continua a darci dentro: il Toro non trova altri spazi. Finché un
bianconero non ha la bella pensata di farsi cacciare, per una reazione ingenua
e spropositata. Allemandi? No, il centravanti Pastore. A un quarto
d'ora dalla fine, la Juve, in dieci, annaspa e il Toro con Libonatti segna il
gol della vittoria. Gol che potrebbe rivelarsi decisivo perché consente ai
granata di mantenere inalterato il vantaggio sul Bologna (12 a 9) e di far
fuori la Juve (rimasta a 7). A tre giornate dalla fine. Il conte Marone brinda,
Agnelli paga pegno e insomma al Toro, mai così vicino allo scudetto, festeggiano
tutti. Tutti tranne Nani, quello della proposta indecente. Chissà perché. La
festa, però, dura poco: in settimana arriva in sede un telegramma che sulle
prime fa pensare a uno scherzo. Il senso è più o meno questo: cari amici,
ricordate il match d'andata col Bologna, vinto 1-0? E ricordate anche
quel gol-non gol dei rossoblu che sarebbe valso il pari? Bene, anzi malissimo.
Il signor Pinasco, l'arbitro, ha ammesso davanti alla CITA (una commissione
che svolgeva anche le funzioni del giudice sportivo) di aver preso un
abbaglio. E allora, poiché trattasi di errore tecnico, la gara è da ripetere. E
quando? Si chiedono sgomenti quelli del Toro. Il 3 luglio, una settimana prima
dell'ultimo turno di campionato. Poco importa che all'ultima giornata sia in
programma il ritorno, al littoriale: Torino-Bologna e Bologna-Torino, tutto
in sette giorni. E la classifica? Torino 10, Bologna 9. Lo scudetto è di nuovo
in bilico. Come reagisce la cosiddetta opinione pubblica? Carlin, storica
firma del Guerin Sportivo, scrive: «la CITA, soltanto quando ha
letto l'esito della partita Torino-Juventus, s'è accorta di un errore tecnico
nella partita Torino-Bologna, avvenuta quasi un mese prima», e Arpinati? Non è dato sapere.
L'impressione è che non avesse gradito affatto il gentile omaggio al
"suo" Bologna, proprio nel momento in cui mezza Italia lo accusava di
essersi portato, con il trasferimento della federcalcio a Bologna, il lavoro
a casa. Di fatto il Resto Del
Carlino, di cui Arpinati era,
come si direbbe oggi, azionista di riferimento, diede pochissimo rilievo alla
ripetizione della partita, nonostante l'importanza della gara. I duellanti nel
frattempo cominciano a dare i primi segni di cedimento: il Bologna pareggia
col Milan e perde con l'Inter, il Toro perde col Genoa, ma batte il Milan,
portandosi sopra di due alla vigilia del doppio spareggio. Ma che strano: chi
va ad arbitrare l'incontro di Torino? Tale Dani di Genova, uno che aveva diretto
la stessa gara nella prima fase del campionato (il 16 gennaio) e che sull'1-1
aveva assegnato ai granata un contestatissimo rigore trasformato
dall'infallibile Balacics. Così, sei mesi dopo, il prode Dani torna sul
luogo del delitto e... Concede il bis: rigore per il Toro, gol del solito
Balacics e proteste molto più sommesse, benché di fatto quel gol assegnasse lo
scudetto. Il giorno dopo, sul Carlino, un trafiletto col risultato e, più
in evidenza, il telegramma di felicitazioni che Arpinati aveva spedito al
Torino fresco Campione d'Italia. L'impressione è che si fosse ovviato in
maniera artigianale - e soprattutto poco rumorosa - a una palese ingiustizia:
il nuovo presidente della federazione, per evidenti motivi di opportunità
politica, non poteva permettere che il Bologna vincesse uno scudetto a quel
modo. Inutile a questo punto il ritorno al Littoriale, che infatti il Toro
affronta con una squadra imbottita di riserve. Vince 5-0 il Bologna, ma la
goleada serve solo a consolidare il secondo posto dei rossoblu.
Estate torrida, quella del '27. Alla pensione di Piazza Madonna
Degli Angeli le finestre sono bocche spalancate in cerca d'ossigeno. Allemandi
è in partenza: la villeggiatura, poi il probabile trasferimento al Bologna, dove
avrebbe fatto coppia con un altro formidabile terzino, Monzeglio. Prima di
partire, però, deve avere una risposta. Da Gaudioso. Che in un giorno di fine
luglio si presenta nella stanza di Gigi con una cattiva notizia: «Nani non scuce». Sì, i soliti nomi: Nani, Gaudioso,
Allemandi. I soliti sospetti, anche. Ma allora, che cosa era successo alla
vigilia di quel derby, che il Toro doveva vincere "a tutti i
costi"? Era successo che lo sprovveduto dirigente del Torino aveva
accettato la proposta di Gaudioso e aveva allungato 25.000 lire ad Allemandi
con la promessa di fargliene avere altrettante a partita giocata (e vinta).
50.000 lire... 50.000 lire erano cinque balilla una dietro l'altra. 125 volte lo
stipendio mensile che gli passava la Juve. Poi, il match era andato
come era andato: il Torino aveva vinto, sì, ma Allemandi in campo si era fatto
in tre, come al solito. E Nani non aveva nessunissima intenzione di sganciare
la seconda rata. Questa era la risposta che attendeva quel giorno di fine luglio
Allemandi, questo gli fece sapere Gaudioso. E questo fu quanto venne a sapere
-troppo calda quell'estate, troppe le finestre aperte, troppo affollata la
pensione di Piazza Madonna Degli Angeli - l'uomo che occupava la stanza
vicina. Ferminelli era un giornalista romano trapiantato da qualche anno
a Torino, dove, dopo un breve periodo di apprendistato alla Stampa, era stato assunto come redattore
al Paese Sportivo. Tipo
permaloso, questo Ferminelli: a inizio stagione il Torino non lo aveva incluso
nell'elenco degli aventi diritto alla tessera permanente per il Filadelfia.
Lui (sembra storia di oggi...) Se n'era lagnato con la società, che si era
scusata per l'equivoco e lo aveva invitato a passare in sede per ritirare
l'agognata tessera. «eh no», era stata la risposta. «sta a voi farmela avere al
giornale».Polemicuccia meschina finché si vuole, ma sta di fatto che il
Toro non spedì un bel nulla e Ferminelli mai si degnò di alzare il posteriore
dalla sua confortevole poltrona. In compenso, però, vergò per tutta la
stagione articoli di fuoco contro il Torino, che comparvero pure su un foglio
milanese, Lo Sport, e su un settimanale satirico
romano, il Tifone. Anche Ferminelli boccheggiava per
il caldo in quelle interminabili giornate di fine luglio, a Torino. Abitava
in pieno centro: in una pensione di Piazza Madonna Degli Angeli. Figurarsi il
godimento dello scriba quando le urla sempre più alte di Allemandi e Gaudioso
invasero la sua stanza. Un pezzo sensazionale, servito a domicilio, e
perdipiù capace di affossare l'odiato Torino. Su Lo Sport uscirono poche righe. I redattori
milanesi vollero affrontare l'argomento con tanta cautela da rendere le allusioni
contenute in un breve trafiletto assolutamente incomprensibili. Quelli del Tifone, invece, spararono un bel titolo: «c'è del marcio in Danimarca». E sotto, la piccata ricostruzione
dei fatti del Ferminelli che avanzava sospetti sulla legittimità dello
scudetto appena assegnato. Poi, il silenzio. Silenzio espressamente richiesto
dalla federazione al direttore del foglio romano: era scattata l'inchiesta e
non erano gradite interferenze. Il giallo richiedeva un ispettore: fu Giuseppe
Zanetti, il segretario della federcalcio che aveva rifiutato la tessera fascista. «fu una inchiesta minuziosa»,
ricorderà lo stesso Zanetti molti anni dopo, «condotta in tutta segretezza con
indagini svolte in Piemonte, in Lombardia e in Sicilia. In uno di questi
viaggi venne visitata la pensione che ospitava Allemandi, Gaudioso e il
giornalista per rilevare l'ubicazione delle camere. In quella di Allemandi
vennero notati dei pezzettini di carta nel cestino, pezzettini di carta che
vennero raccolti pensando che avessero potuto avere un riferimento con la
questione che interessava. Infatti, incollati questi pezzettini su della carta
trasparente (lavoro che durò ben diciotto ore) si potè ricostruire una
lettera con cui Allemandi si lagnava del mancato versamento delle
venticinquemila lire, sostenendo di aver collaborato e non poco alla conquista
dello scudetto da parte dei granata. Non occorreva altro, ma era comunque
necessario arrivare alla prova dei fatti senza far uso di quella lettera dalla
quale non si riusciva a capire il perché non era stata spedita ma gettata nel
cestino». I protagonisti dell'intrigo vengono convocati e sottoposti a confronti
incrociati. Oltre ad allemandi, sono invitati a presentarsi a bologna,
davanti al direttorio federale, altri due juventini: munerati e pastore.
L'inchiesta procede fino all'inizio di novembre, quando ormai la stagione
sportiva 1927-28 è in pieno svolgimento. Il 3 novembre, tre giorni prima di un
importantissimo Italia-Austria valido per la coppa Internazionale, Nani
crolla, trascinando con sé il truce Gaudioso. E Arpinati non perde tempo,
benché si sia a poche ore da un incontro tanto delicato. Il 4 novembre un
comunicato della federcalcio costringe molti giornali all'edizione
straordinaria: «il
direttorio federale, accertato anche per confessione del dottor Nani, consigliere
del Torino, che egli ha versato al signor Gaudioso, pure confesso, lire 25.000
destinate a taluno dei giocatori della Juventus per assicurare illegittimamente
al Torino la vittoria nella gara del 5 giugno, delibera di togliere al Torino
il titolo di Campione Assoluto D'Italia, per l'anno sportivo 1926-27». A Torino restano di sasso, mentre
l'Italia si interroga: cosa nasconde quel "taluno"? Arpinati
scioglie il dubbio quarantatt'ore dopo in un'intervista alla gazzetta dello sport: «non
sono uomo da misteri. Dite pure, prima ancora che esca il comunicato
ufficiale, che stanotte mi è stato possibile individuare il giocatore verso il
quale il signor Gaudioso avrebbe esercitato con successo la propria opera di
corruzione. Si tratta dell 'ex juventino Allemandi che ho intenzione di
squalificare a vita. Ove altre responsabilità venissero alla luce, colpirò
con la medesima fermezza: ne potete essere certi». La sentenza definitiva arriva il
21 novembre ed è per certi versi sorprendente: «il direttorio federale
conferma le precedenti decisioni e squalifica a vita Luigi Allemandi, della
cui colpevolezza è stata pienamente raggiunta la prova; richiama il giocatore
Munerati a una più esatta comprensione dei suoi doveri in quanto un calciatore
tesserato non può accettare doni di qualsiasi entità o natura da iscritti ad
altre società; deplora e proibisce il malcostume delle scommesse anche di
lieve cifra, specie quelle tenute contro le sorti dei propri colori e
ammonisce per questa trasgressione il giocatore Pastore, lieto di constatare
come l'episodio che ha dato luogo alle accennate sanzioni sia circoscritto a un
solo giocatore e non possa quindi gettare ombra né onta sulla grande massa dei
calciatori italiani». Il
caso è chiuso. Chiuso? Beh, insomma.
La sentenza che sancisce la squalifica a vita del povero
Allemandi (peraltro amnistiata nel giro di un anno) se la cava con un
simpatico buffetto a Munerati, che - a quanto si desume - avrebbe accettato
un "dono" da parte di una società avversaria (e Allemandi cosa aveva
fatto?) E a Pastore che addirittura avrebbe scommesso sulla sconfitta della
propria squadra. Il finale poi ha tutta l'aria di una giustificazione non
richiesta (accusa manifesta, dicevano i latini): l'episodio è circoscritto - si
sottolinea - e non scredita la «grande massa dei calciatori italiani». Insomma,
le zone d'ombra sono parecchie. Perché Allemandi pretende con tanta foga
la seconda rata del pagamento di Nani, pur essendo stato uno dei migliori in
campo nel derby incriminato? Forse perché era un semplice intermediario che
doveva girare i soldi ai diretti interessati? Il torinista Baloncieri qualche
anno dopo lascerà ai posteri una frase sibillina: «un fatto dubbio si era
presentato agli inquirenti: quello di sospettare di un altro atleta che, per
la sua dirittura morale, era inattaccabile». Magari quello che aveva aperto
inspiegabilmente le gambe al passaggio del tiro non irresistibile di
Balacics, che aveva consentito al Toro di pareggiare? Gianni Brera, nella
sua storia critica del calcio italiano, la risolve così: «a questo punto, non
sembra necessario essere Sherlock Holmes per appurare come sia andata, e subito
dopo capire come abbia potuto Allemandi militare nell'Inter di Giovanni Mauro,
vicepresidente della federazione e temibile capo degli arbitri. I sottili
ricatti reciproci avevano lasciato alla Juventus il terzino più dotato di
classe (Rosetta) e avevano impedito al Bologna di acquistare un terzino che
avrebbe fatto irresistibile coppia con il suo Monzeglio ai mondiali
1934». Il sacrificio di Allemandi, insomma, giova paradossalmente alla
Juventus, che in questo modo evita di perdere altri giocatori. E perché una volta
tanto l'inflessibile presidente non usa il pugno di ferro? Chissà. Certo, è
curioso notare che solo un anno prima (il 2 maggio 1926) Edoardo Agnelli, per
conto del padre Giovanni, aveva ceduto ad Arpinati l'intero pacchetto
azionario degli stabilimenti poligrafici riuniti, società editrice del Resto
Del Carlino. E benché Arpinati, come pare, si fosse deciso all'acquisto più per
pressioni esterne che per un effettivo interesse, l'affare appena concluso lo
collocava in una posizione di evidente soggezione nei confronti della potente
famiglia torinese. Inconvenienti - mettiamola così - del conflitto di
interessi... E Allemandi? Non volle più tornare sull'argomento. Solo nel 1976,
poco prima di morire, confessò a Carlo Moriondo di Stampa Sera: «sì, c 'era
stato qualcosa di poco chiaro quel giorno. Ma il colpevole non ero io...».
L'impressione che il losco triangolo Nani-Gaudioso-Allemandi non fosse che la
punta dell'iceberg la dà peraltro lo stesso Arpinati quando spiega perché non
sarà il Bologna, secondo classificato, a fregiarsi del titolo di Campione
D'Italia. Dalla gazzetta dello sport del 7 novembre 1927: «il titolo passerà
ora al bologna? Assolutamente no. Il risultato dell'inchiesta è tale che ho
riportato l'impressione precisa che talune partite di campionato abbiano
falsato l'esito del campionato stesso. Il Bologna non avrà perciò il titolo
tolto al Torino; il campionato 1926-27 non avrà il suo vincitore». Probabile
che Arpinati si riferisse anche al caso Pinasco (l'arbitro che ammise l'errore
tecnico in Torino-Bologna con un mese di ritardo) o ad altre vicende mai
venute in superficie. Eppure nel corso degli anni da Torino e da Bologna si
sono susseguiti a intervalli più o meno regolari appelli, raccolte di firme e
addirittura interrogazioni parlamentari, per riaprire il fascicolo e assegnare
una volta per tutte lo scudetto di nessuno. Uno scudetto che però non può
andare a Torino perché - fosse o non fosse Allemandi l'unico colpevole - è
provato che la corruzione avvenne, anche se Nani agì, come continuò a ripetere,
a titolo personale. Uno scudetto che, tutto sommato, non può neppure
scendere sulla maglia dei secondi classificati, sui quali si allunga,
inquietante, l'ombra dello spinoso e mai del tutto chiarito caso pinasco. Se Arpinati
non premiò il "suo" Bologna, lasciando che il primo campionato della
sua gestione si chiudesse senza un vincitore, non lo fece, evidentemente, solo
per dimostrarsi al di sopra delle parti.
Campionato Divisione Nazionale
Eliminatorie Nazionali: Girone A
|
Girone A
Squadra
|
Pt
|
G
|
V
|
N
|
P
|
GF
|
GS
|
DR
|
Juventus
|
27
|
18
|
12
|
3
|
3
|
44
|
10
|
+34
|
Inter
|
27
|
18
|
12
|
3
|
3
|
49
|
22
|
+27
|
Genoa
|
24
|
18
|
10
|
4
|
4
|
37
|
15
|
+22
|
Casale
|
21
|
18
|
9
|
3
|
6
|
24
|
22
|
+2
|
Pro Vercelli
|
20
|
18
|
7
|
6
|
5
|
27
|
22
|
+5
|
Modena
|
18
|
18
|
6
|
6
|
6
|
21
|
27
|
-6
|
Brescia
|
15
|
18
|
6
|
3
|
9
|
28
|
35
|
-7
|
Verona
|
15
|
18
|
6
|
3
|
9
|
19
|
35
|
-16
|
Alba Audace
|
12
|
18
|
5
|
2
|
11
|
25
|
32
|
-7
|
Napoli
|
1
|
18
|
0
|
1
|
17
|
7
|
61
|
-54
|
Girone B
Squadra
|
Pt
|
G
|
V
|
N
|
P
|
GF
|
GS
|
DR
|
Torino
|
26
|
18
|
12
|
2
|
4
|
52
|
25
|
+27
|
Milan
|
24
|
18
|
11
|
2
|
5
|
41
|
27
|
+14
|
Bologna
|
24
|
18
|
11
|
2
|
5
|
38
|
26
|
+12
|
Alessandria
|
21
|
18
|
9
|
3
|
6
|
42
|
24
|
+18
|
Livorno
|
20
|
18
|
9
|
2
|
7
|
32
|
28
|
+4
|
Sampierdarenese
|
20
|
18
|
9
|
2
|
7
|
31
|
36
|
-5
|
Padova
|
15
|
18
|
7
|
1
|
10
|
29
|
44
|
-15
|
Andrea Doria
|
13
|
18
|
5
|
3
|
10
|
16
|
31
|
-15
|
Cremonese
|
12
|
18
|
6
|
0
|
12
|
19
|
35
|
-16
|
Fortitudo Pro Roma
|
5
|
18
|
2
|
1
|
15
|
18
|
42
|
-24
|
Girone finale
Squadra
|
Pt
|
G
|
V
|
N
|
P
|
GF
|
GS
|
DR
|
Torino
|
14
|
10
|
7
|
0
|
3
|
17
|
15
|
+2
|
Bologna
|
12
|
10
|
5
|
2
|
3
|
14
|
6
|
+8
|
Juventus
|
11
|
10
|
5
|
1
|
4
|
24
|
13
|
+11
|
Genoa
|
9
|
10
|
4
|
1
|
5
|
15
|
21
|
+6
|
Inter
|
8
|
10
|
3
|
2
|
5
|
13
|
16
|
-3
|
Milan
|
6
|
10
|
2
|
2
|
6
|
13
|
25
|
-12
|
Dal momento che un membro del consiglio di amministrazione del Torino dichiarò di aver pagato per ottenere la vittoria nella
partita Torino-Juventus giocata il 5 giugno 1927, il Torino dovrebbe essere considerato squalificato e le
altre gare disputate invece ricalcolate per assegnare lo scudetto. Lo faccio
ora io.
Classifica finale
Pos.
|
Squadra
|
Pt
|
G
|
V
|
N
|
P
|
GF
|
GS
|
DR
|
1.
|
10
|
8
|
4
|
2
|
2
|
9
|
5
|
+4
|
|
2.
|
9
|
8
|
4
|
1
|
3
|
22
|
11
|
+11
|
|
3.
|
8
|
8
|
3
|
2
|
3
|
11
|
12
|
-1
|
|
4.
|
7
|
8
|
3
|
1
|
4
|
11
|
17
|
-6
|
|
5.
|
6
|
8
|
2
|
2
|
4
|
10
|
20
|
-10
|
Il Bologna sarebbe stato Campione d’Italia
In verità Edoardo Agnelli concesse la maggioranza delle azioni de
Il Resto del Carlino a Leandro Arpinati perché aveva capito che il fascismo
stava andando incontro ad una pericolosa deriva, e vedeva nel gerarca e
protettore del Bologna un uomo leale che potesse porre un freno alla follìa,
come la storia ha dimostrato fu infatti allontanato da Mussolini pur essendo
stato precedentemente un uomo molto in vista del partito. Inoltre il Torino non
era “rosso” (socialista), semplicemente odiava il Bologna di Arpinati
che l’aveva estromesso dalla corsa al titolo del 1926, infatti i granata
tifarono durante la semifinale del Campionato per la rivale cittadina
Bianconera contro il Bologna.
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