martedì 17 giugno 2014

Dal 1949 al 1954

Serie A 1949-50
Dopo la tragedia di Superga il presidente torinista Novo tentò di ricostruire la squadra dal nulla. In parte ci riuscì, ottenendo un sesto posto nel campionato 1949-1950, ma con il tempo il Torino, colpito dalle perdite, lasciò spazio ad altre squadre, in particolare le milanesi e la Juventus, che monopolizzeranno i primi tre posti della classifica per cinque stagioni consecutive. Lo scudetto, nel 1950, rimase a Torino e tornò nella bacheca della Juventus. I bianconeri resistettero all'attacco del trio svedese Gre-No-Li, che portò il Milan a quota 118 gol, e tornarono allo scudetto dopo 15 anni, guidando la classifica per tutto il campionato, che partì l'11 settembre 1949 e vide la Juve balzare subito in testa: all'undicesima giornata, il 13 novembre, aveva già collezionato cinque punti di vantaggio sul Padova secondo e, un mese dopo, i punti sulla nuova seconda classificata, il Milan, erano diventati sei. Con tre settimane d'anticipo, la Juve fu campione d'inverno.
Il girone di ritorno iniziò con qualche difficoltà per i bianconeri, ma il Milan non fu capace di approfittarne appieno; riuscì comunque ad arrivare allo scontro diretto di Torino, il 5 febbraio, a tre punti di distanza dai bianconeri. La netta vittoria (7-1) li avvicinò pericolosamente alla vetta. Fu in questo momento, però, che la Juventus seppe piazzare lo scatto decisivo: vincendo otto partite di fila e surclassando il Padova, il 23 aprile, vinse il meritato scudetto. Positiva fu la prestazione del neopromosso Como, alla prima stagione in A, mentre non fecero bene il Genoa e ilBologna. Cadde in Serie B dopo un solo anno il Venezia, che aveva perso le prime otto partite ed era rimasto staccato dalle squadre in corsa per la salvezza: da segnalare a tal proposito la sconfitta interna per 0-8 nel derby contro il Padova, ancor'oggi ex aequo miglior vittoria in trasferta nella storia della Serie A. Retrocesse anche il Bari, mentre si salvarono con fatica il Novara e la Roma, accusata dai pugliesi di essere stata favorita dai direttori di gara: le polemiche che ne conseguirono portarono a una vera e propria rivoluzione all'interno della classe arbitrale, ma nessun particolare provvedimento disciplinare fu preso nei confronti dei giallorossi.

Pos.
Squadra
Pt
G
V
N
P
GF
GS
DR
1.
Juventus
62
38
28
6
4
100
43
+57
2.
Milan
57
38
27
3
8
118
45
+73
3.
Inter
49
38
21
7
10
99
60
+39
4.
Lazio
46
38
18
10
10
67
43
+24
5.
Fiorentina
44
38
18
8
12
76
57
+19
6.
Torino
41
38
17
7
14
80
76
+4
6.
Como
41
38
15
11
12
59
59
=
8.
Atalanta
40
38
17
6
15
66
60
+6
8.
Triestina
40
38
14
12
12
50
59
−9
10.
Padova
35
38
13
9
16
61
65
−4
11.
Pro Patria
34
38
11
12
15
50
61
−11
11.
Genoa
34
38
13
8
17
45
64
−19
13.
Sampdoria
33
38
13
7
18
62
70
−8
13.
Palermo
33
38
13
7
18
47
64
−17
15.
Bologna
32
38
8
16
14
54
63
−9
15.
Lucchese
32
38
11
10
17
65
79
−14
17.
Novara
31
38
11
9
18
51
64
−13
17.
Roma
31
38
12
7
19
52
70
−18
19.
Bari
29
38
11
7
20
38
74
−36
20.
Venezia
16
38
5
6
27
25
89
−64


Squadra campione : Giovanni Viola (37 presenze) Alberto Bertuccelli (36) Sergio Manente (35) Giacomo Mari (38) Carlo Parola (35)
Alberto Piccinini (32) Ermes Muccinelli (34) Rinaldo Martino (33) Giampiero Boniperti (35) John Hansen (37) Karl Aage Praest (37)
Allenatore: Jesse Carver
Riserve Pasquale Vivolo (10), Romolo Bizzotto (8), Pietro Rava (6), Ermanno Scaramuzzi (3), Amos Mariani (1), Filippo Cavalli (1).

Record
Maggior numero di vittorie: Juventus (28)
Minor numero di sconfitte: Juventus (4)
Capolista solitarie
dalla 3ª alla 38ª giornata: Juventus

Andata
Ritorno
Juventus
34
Milan
30
Inter
27
Juventus
28
Milan
27
Lazio
26
Padova
23
Inter
22
Fiorentina
23
Pro Patria
22
Atalanta
22
Triestina
22

In casa
In trasferta
Milan
34
Juventus
32
Lazio
33
Milan
23
Torino
32
Inter
18
Inter
31
Como
18
Fiorentina
31
Triestina
14
Juventus
30
Lazio
13
Genoa
29
Fiorentina
13

Data
Incontro
Ris
11/09/1949
Juventus - Fiorentina
5 - 2
18/09/1949
Lazio - Juventus
1 - 3
25/09/1949
Juventus - Bari
4 - 0
02/10/1949
Milan - Juventus
0 - 1
09/10/1949
Juventus - Triestina
3 - 0
16/10/1949
Atalanta - Juventus
2 - 2
20/10/1949
Juventus - Venezia
1 - 0
23/10/1949
Genoa - Juventus
1 - 2
30/10/1949
Juventus - Como
2 - 2
06/11/1949
Torino - Juventus
1 - 3
13/11/1949
Juventus - Inter
3 - 2
20/11/1949
Pro Patria - Juventus
0 - 3
04/12/1949
Juventus - Palermo
6 - 2
08/12/1949
Padova - Juventus
0 - 2
11/12/1949
Juventus - Roma
3 - 0
18/12/1949
Novara - Juventus
2 - 3
25/12/1949
Bologna - Juventus
0 - 4
01/01/1950
Juventus - Lucchese
1 - 2
08/01/1950
Juventus - Sampdoria
1 - 0
15/01/1950
Fiorentina - Juventus
0 - 0
22/01/1950
Juventus - Lazio
1 - 2
29/01/1950
Bari - Juventus
0 - 0
05/02/1950
Juventus - Milan
1 - 7
12/02/1950
Triestina - Juventus
2 - 3
19/02/1950
Juventus - Atalanta
2 - 0
23/02/1950
Venezia - Juventus
1 - 4
26/02/1950
Juventus - Genoa
6 - 1
12/03/1950
Como - Juventus
2 - 6
19/03/1950
Juventus - Torino
4 - 3
26/03/1950
Inter - Juventus
2 - 4
09/04/1950
Juventus - Pro Patria
3 - 1
16/04/1950
Palermo - Juventus
0 - 0
23/04/1950
Juventus - Padova
4 - 0
30/04/1950
Roma - Juventus
1 - 0
07/05/1950
Juventus - Novara
1 - 1
14/05/1950
Juventus - Bologna
3 - 2
21/05/1950
Lucchese - Juventus
1 - 2
28/05/1950
Sampdoria - Juventus
0 - 4

Dagli anni Venti fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, Torino era divisa in due classi ben distinte, i più ricchi che abitavano alla Crocetta in centro e alla collina e i poveri che risiedevano a Porta Palazzo Borgo San Paolo e a Borgo Milano. Ognuna di queste categorie aveva un modo diverso di parlare il dialetto. Nei quartieri popolari le persone anziane erano chiamate i göb, la madre o la nonna erano le göba per quel modo di camminare, curve sotto il peso della fatica e dell’età. Dopo aver vinto cinque campionati consecutivi, prima del secondo conflitto mondiale, la Juventus venne chiamata «La signora del calcio italiano». Ecco perché la Juve, da parte dei tifosi del Torino, non era una elegante e giovane dama, ma una vecchina malferma: una göba. Così per anni quando nel derby il Toro segnava un gol ai cugini bianconeri (i rigadin per la maglia a strisce) tutti i tifosi granata cantilenando «Göba», alzavano lentamente le braccia al cielo per portarle alla testa. Sembravano tanti musulmani in preghiera. La cosa che faceva imbestialire il tifoso juventino era l’assenza di grida e di insulti, ma solo questo coro lento, devastante, che li umiliava profondamente. Superga cambiò le cose radicalmente. Ora era la Juve più forte del Toro e quando arrivava il momento del derby e le squadre entravano in campo, ai tifosi del Toro che gridavano «Göba göba», rispondevano quelli juventini che ripetevano, a mo di risposta provocatoria, «Göba göba». In questo modo spiazzandoli inesorabilmente. Soprattutto, quando la squadra bianconera segnava un gol ai granata, i «rigadin», dopo aver esultato, iniziavano proprio quella cantilena che, per anni, era stata la spina insultante nel loro fianco: «Göba göba». Non solo con le stesse parola ma con la medesima ritualità gestuale. Così dagli anni Cinquanta, quando la Juve vinse il suo primo campionato del dopoguerra, quella che per anni era stata l’arma più perfida del popolo granata divenne invece il simbolo e l’inno della squadra bianconera.

Il primo campionato del dopo -Superga comincia sempre nel segno della Torino calcistica, ma questa volta sponda Juventus che torna i vertici in un torneo in cui gli equilibri tornano a mischiarsi e dove i bianconeri con Milan e Internazionale daranno il via a una lotta che si protrarrà fino ai giorni nostri. Alla Juve di Boniperti e Hansen, con in panchina l’inglese Carver, i rossoneri rispondono col trio delle meraviglie Gren, Nordhal e Liedholm e sarà proprio il Milan l’avversari più ostica per la Juventus che dopo un inizio strepitoso con 15 vittorie e 2 pareggi nelle prime 17 partite (la meno festosa è sicuramente quella del 6 Novembre contro un Torino che faticosamente si sta ricostruendo dopo la tragedia di Superga), risente di una battuta d’arresto nel girone di ritorno con gli avversari che alla quarta giornata si portano a un solo punto dal vertice. Una partita drammatica che vede prima la Juventus portarsi in vantaggio con Hansen per poi crollare sotto ben sette gol dei milanisti. Nel frattempo, l’Internazionale scala posizioni fino a diventare la terza forza del campionato, ma alla fine cadrà comunque in casa per 2-4 grazie alla doppietta di Hansen e ai gol di Praest e Muccinelli. Il campionato si chiude nel segno di Boniperti che con una tripletta sugellerà contro la Sampdoria la conquista di un meritatissimo titolo. Uno degli assoluti leader della squadra è senz’altro il difensore Carlo Parola, grazie al quale la figura dell’allora centromediano metodista si trasforma in libero moderno.
Corretto e deciso, gioca molto sull’anticipo e i suoi lanci agli attaccanti sono frequenti. Ma il suo pezzo forte è il gioco in acrobazia; la sua rovesciata volante diventa una sorta di logo propagandistico per il calcio stesso, applaudita forse più di un gol. Disputa nel campionato 35 partite su 38.

Serie A 1950-51
La negativa prestazione della Nazionale Italiana ai Mondiali brasiliani causò una perdita di fiducia nei confronti dei calciatori nostrani. Le grandi squadre guardarono così all'estero, in particolare alla Scandinavia. La Juventus campione in carica fece acquisti in Danimarca, mentre il Milan puntò tutto sul trio svedese Gre-No-Li e l'Inter si affidò a Lennart Skoglund. Anche il Genoa e la Roma inserirono nelle loro rose calciatori svedesi, ma con risultati differenti. Iniziato il 10 settembre, il torneo si rivelò subito combattuto: il Milan andò in testa, ma dovette lottare con Inter e Juventus, che più volte raggiunsero e sorpassarono i rossoneri. Furono in particolare i nerazzurri a dare del filo da torcere ai rivali cittadini: il 26 novembre il Milan perse in casa contro il Bologna e l'Inter, vincendo a Firenze, volò a più tre, iniziando il cammino verso il titolo di campione d'inverno che arrivò il 14 gennaio 1951. Quando i nerazzurri ottennero tre pareggi e una sconfitta nelle prime giornate del girone di ritorno, il Milan ne approfittò e superò i rivali, aumentando i punti di vantaggio sul secondo posto a tre il 18 febbraio. Il Milan andò in fuga e mantenne una regolarità di rendimento che gli permise di aumentare, a poche giornate dal termine, il vantaggio a 5 punti. Pur rimanendo sconfitta nelle ultime due gare, la squadra rossonera festeggiò il 10 giugno uno scudetto che mancava nella sua bacheca da 44 anni: l'ultimo titolo risaliva al 1907. Il capocannoniere fu Gunnar Nordahl, con 34 reti all'attivo. Retrocessero il Genoa e, per la prima volta e a soli nove anni dal primo scudetto, la Roma, coinvolta nella vicenda dei presunti favori arbitrali che l'anno prima le avrebbero garantito la salvezza: era stato il Bari, retrocesso al termine del campionato 1949-50 a sollevare un caso che portò a licenziamenti e deferimenti all'interno del mondo arbitrale, ma a nessun particolare provvedimento contro i giallorossi. Convincenti, infine, le prestazioni delle neopromosse Udinese, all'esordio nella moderna A dopo aver perso la massima serie nel 1926, e Napoli, nonché del Novara del trentasettenne Piola, autore di 19 reti.

Data
Incontro
Ris
10/09/1950
Pro Patria - Juventus
0 - 7
17/09/1950
Juventus - Triestina
2 - 2
24/09/1950
Lucchese - Juventus
0 - 1
01/10/1950
Sampdoria - Juventus
1 - 1
08/10/1950
Juventus - Roma
7 - 2
15/10/1950
Fiorentina - Juventus
1 - 2
22/10/1950
Juventus - Milan
1 - 1
29/10/1950
Bologna - Juventus
0 - 5
05/11/1950
Juventus - Napoli
3 - 2
12/11/1950
Torino - Juventus
1 - 4
19/11/1950
Como - Juventus
1 - 0
26/11/1950
Juventus - Palermo
4 - 1
03/12/1950
Inter - Juventus
3 - 0
10/12/1950
Juventus - Novara
4 - 0
17/12/1950
Udinese - Juventus
0 - 3
24/12/1950
Genoa - Juventus
0 - 3
31/12/1950
Juventus - Lazio
1 - 1
07/01/1951
Juventus - Padova
5 - 1
14/01/1951
Atalanta - Juventus
1 - 5
21/01/1951
Juventus - Pro Patria
2 - 1
28/01/1951
Triestina - Juventus
2 - 2
04/02/1951
Juventus - Lucchese
1 - 0
11/02/1951
Juventus - Sampdoria
7 - 2
18/02/1951
Roma - Juventus
3 - 0
25/02/1951
Juventus - Fiorentina
5 - 0
04/03/1951
Milan - Juventus
2 - 0
11/03/1951
Juventus - Bologna
1 - 1
18/03/1951
Napoli - Juventus
1 - 1
25/03/1951
Juventus - Torino
5 - 1
01/04/1951
Juventus - Como
0 - 3
15/04/1951
Palermo - Juventus
1 - 5
22/04/1951
Juventus - Inter
0 - 2
29/04/1951
Novara - Juventus
3 - 1
13/05/1951
Juventus - Udinese
1 - 1
20/05/1951
Juventus - Genoa
4 - 1
27/05/1951
Lazio - Juventus
0 - 3
10/06/1951
Padova - Juventus
0 - 1
17/06/1951
Juventus - Atalanta
6 - 2

Squadra
Pt
G
V
N
P
GF
GS
 Milan
60
38
26
8
4
107
39
 Inter
59
38
27
5
6
107
43
 Juventus
54
38
23
8
7
103
44
 Lazio
46
38
18
10
10
64
50
 Fiorentina
44
38
18
8
12
52
42
 Napoli
41
38
15
11
12
57
52
 Bologna
41
38
16
9
13
61
59
 Como
40
38
18
4
16
56
66
 Udinese
35
38
11
13
14
46
61
 Palermo
34
38
14
6
18
59
67
 Pro Patria
34
38
14
6
18
47
74
 Novara
33
38
13
7
18
56
67
 Sampdoria
33
38
12
9
17
51
76
 Atalanta
32
38
10
12
16
48
69
 Lucchese
30
38
11
8
19
44
53
 Triestina
30
38
10
10
18
45
67
 Torino
30
38
9
12
17
46
69
 Padova
29
38
12
5
21
49
68
 Roma
28
38
10
8
20
48
54
 Genoa
27
38
9
9
20
46
72

Dopo la conquista dell’ottavo scudetto della sua storia, la Juventus affronta un nuovo campionato conscia della crescita delle avversarie, in primis Internazionale e Milan, che diventano le vere protagoniste di questa stagione. I nerazzurri sono guidati dal trio Lorenzi, Skoglund e Nyers, mentre per i rossoneri sono ancora sugli scudi i tre svedesi Gren, Nordhal e Liedholm. Alla Juventusnon bastano né i gol di Boniperti, goleador inarrestabile, nè l’arrivo dall’Atalanta del secondo Hansen, Karl, che si laurea capocannoniere dei bianconeri con 23 reti, una in più del compagno d’attacco, così le milanesi si aggiudicano i primi due posti della classifica, staccando la Juventus di 5 lunghezze i nerazzurri e di 6 punti i rossoneri. Una lotta scandita dagli attacchi delle tre squadre che segnano 103 gol (la Juventus) e 107 gol (Internazionale e Milan).

Prima edizione della Coppa del Mondo per club
Quando si vuole rievocare episodi nei quali il gioco del calcio ha sconfinato nell’avventura, rischiando addirittura di cadere in situazioni drammatiche, non si può dimenticare quanto è successo alla Juventus, nel luglio del 1951, in Brasile. In quell’anno, fu organizzato un torneo che, in sostanza, era la prima ed inedita edizione della Coppa Ddi Campioni ( in realtà del Mondiale per club – NDA), solo il meccanismo era diverso, in quanto tutte le gare dovevano essere giocate, nel breve spazio dì quindici giorni, da otto squadre suddivise in due gironi. Nel girone A (i cui incontri furono disputati a Säo Paolo) c’erano il Palmeiras, L’Olympique di Nizza, la Stella Rossa di Belgrado e la Juventus. Nel girone B (i cui incontri furono giocati a Rio De Janeiro) l’Austria di Vienna, lo Sporting di Lisbona, il Vasco De Gama ed il Nacional di Montevideo. Il Campionato Italiano si era chiuso con la vittoria del Milan, che aveva totalizzato 60 punti contro i 59 dell’Inter ed i 54 della Juventus. Poiché i rossoneri rifiutarono l’invito del torneo in Brasile e i neroazzurri fecero altrettanto, fu richiesta la partecipazione al sodalizio bianconero e la squadra, allora allenata da Jesse Carver, partì, a fine giugno, alla volta del Brasile. Per dovere di cronaca, è giusto sapere che i membri della federazione espressero, in quell’occasione, giudizi forse non troppo lusinghieri all’indirizzo del club bianconero, mostrandosi preoccupati per un’eventuale brutta figura che la squadra torinese avrebbe potuto andare incontro, considerato che, in quel torneo, figuravano molti dei migliori giocatori del calcio internazionale. Il torneo iniziò favorevolmente per la Juventus, che aveva portato in Brasile i seguenti giocatori: Viola, Bertuccelli, Manente, Mari, Parola, Piccinini, Muccinelli, Karl Hansen, Boniperti, John Hansen, Præst, Cavalli, Boniforti, Ferrario, Bizzotto, Scaramuzzi e Vivolo. Nella prima partita, i bianconeri batterono la Stella Rossa per 3-2. Segnarono per prima gli jugoslavi con Tomasevich, poi Boniperti realizzò sia la rete del pareggio sia quella del vantaggio; con il risultato di 2-1, si chiuse il primo tempo. Al 17’ della ripresa, Mitici rimise in equilibrio le sorti della gara che si era fatta piuttosto rude e cattiva. Karl Hansen, a metà ripresa, calciò a lato un rigore; cinque minuti più tardi, la mezzala danese si fece perdonare l’errore e, sfruttando abilmente un passaggio di Muccinelli, realizzò la rete della vittoria. Anche la seconda partita, contro l’Olympique di Nizza, si chiuse a favore dei bianconeri con l’identico risultato di 3-2, dopo un’altalena di reti simile a quella della gara con la Stella Rossa. Fu John Hansen ad aprire la serie dei goal, ma dopo pochi minuti Courteaux pareggiò per il Nizza. Prima del riposo ancora un goal della Juventus, autore Præst, che finalizzò nel migliore dei modi un passaggio di Vivolo, splendido sostituto dell’infortunato Boniperti. A metà della ripresa arrivò il secondo goal dei francesi, realizzato ancora da Courteaux, su allungo di Caré. L’incontro si decise a dieci minuti dalla fine, quando Muccinelli risolse una furiosa mischia accesasi nell’area transalpina, mettendo il pallone alle spalle del portiere Germain. Da notare che, nelle file dell’Olympique, militavano giocatori molto importanti, come Bonifaci, Bengtsson E Hjalmarsson. Il Palmeiras, invece, sconfisse il Nizza per 3-1 e la Stella Rossa per 2-1. Vivissima era, pertanto, l’attesa per l’incontro tra la Juventus ed i brasiliani, beniamini del pubblico locale; la speranza era di una finale tra il Palmeiras ed il Vasco De Gama, l’altra squadra brasiliana che, dopo aver seccamente battuto l’Austria di Vienna per 5-1 (quattro reti dell’indimenticabile Friaca ed una di Tesaurinha), aveva brillantemente vinto il girone B. Enorme fu la delusione dei tifosi carioca, perché la Juventus, con una partita fantastica, umiliò il Palmeiras con un secco 4-0; reti di Præst, Karl Hansen su rigore e Boniperti due volte. I bianconeri, grazie alla vittoria nel loro girone, avrebbero incontrato, come prescriveva il regolamento, la squadra seconda classificata del girone B, l’Austria di Vienna; il Palmeiras, terminato al secondo posto dopo la Juventus, se la sarebbe vista con il Vasco De Gama, trionfatore del girone B. Il dramma accadde nella prima gara di semifinale tra la Juventus e l’Austria, disputata a Säo Paolo. E che si sia trattato di un episodio davvero burrascoso, lo dimostra il fatto che due giocatori juventini, il portiere Viola e l’ala destra Muccinelli, finirono, addirittura, per essere arrestati e tradotti in prigione, dove rimasero per circa cinque ore, prima di essere rimessi in libertà. La Juventus scese in campo nella solita formazione tipo, con l’unica variante di Vivolo interno sinistro al posto di John Hansen, il quale si era infortunato ad una caviglia nel precedente incontro con il Palmeiras. Questo lo schieramento bianconero: Viola; Bertuccelli E Manente; Mari, Parola E Piccinini; Muccinelli, Karl Hansen, Boniperti, Vivolo e Præst. L’Austria presentava, a quei tempi, un autentico squadrone, forte dei vari Ocwirk, Stojaspal, Schleger ed i fratelli Melchior ii (terzino) e Melchior i (ala destra). A dirigere la partita fu chiamato il brasiliano Malcher e fu, indubbiamente, un errore piuttosto grave, anche perché i tifosi brasiliani, dopo la cocente sconfitta patita dal Palmeiras, erano tutti schierati con i bianchi dell’Austria. Per circa mezzora la Juventus attaccò in forze, ma la difesa austriaca respinse ogni assalto. Poi, al 30’, l’Austria mise a segno la prima rete con la mezzala Kominek; sette minuti dopo, la Juventus pareggiò con Muccinelli, su ottimo passaggio di Boniperti. Palla al centro, veloce discesa di Stojaspal che superò Manente e saettò un pallone imparabile nell’angolo basso; nulla da fare per Viola. Nella ripresa Carver ordinò a Karl Hansen di occuparsi di Ocwirk ed, immediatamente, gli austriaci videro inaridirsi la sorgente del loro gioco. Al 5’, uno splendido goal di Præst portò il risultato sul 2-2 e fu ancora l’entusiasmante ala sinistra danese, in giornata di vena eccezionale, a realizzare il terzo goal bianconero. Questo accadde esattamente al 26’ della ripresa e, per i restanti diciannove minuti, la difesa juventina riuscì a controllare agevolmente le azioni offensive degli austriaci. A trenta secondi dalla fine ci fu il clamoroso colpo di scena. Manente intercettò, con un intervento acrobatico, un pallone alto e, di piede, lo passò indietro al portiere Viola. Nell’istante in cui Viola si apprestò a rinviare verso il centro del campo, si udì il fischio dell’arbitro ed i bianconeri levarono le braccia in alto in segno di giubilo, per la vittoria conquistata. Ma l’arbitro non fischiò la fine dell’incontro, bensì un calcio di rigore a favore dell’Austria, fra lo stupore e lo sgomento dei giocatori juventini. Il signor Malcher sostenne che Manente aveva fermato il pallone con una mano ed, inutilmente, il terzino tentò di proclamarsi innocente. Viola si precipitò incontro al direttore di gara e protestò vivacemente. L’arbitro fu attorniato dai bianconeri ed in quel momento un certo numero di persone entrò sul rettangolo di gioco; erano di poliziotti in borghese, ma i giocatori juventini non li riconobbero e, scambiandoli per tifosi, reagirono. Violentissimi scontri avvennero tra poliziotti, giocatori bianconeri (anche quelli che si trovavano in panchina, come Ferrario, Boniforti, Scaramuzzi) ed un gruppo di tifosi. Finalmente, ritornò la calma, ma mentre Stojaspal si apprestava a battere il rigore, alle spalle di Viola tifosi e poliziotti brasiliani inscenarono un’indecorosa gazzarra. Nell’istante in cui il portiere juventino si volse indietro per rispondere ad uno dei mille insulti, l’attaccante austriaco saettò in rete e l’arbitro fischiò la fine della partita. Ancora una volta, si riaccesero le mischie e volarono pugni a dritta ed a manca. Alcuni agenti di polizia, che in precedenza erano stati insultati, circondarono Viola e Muccinelli, fecero loro indossare la tuta, li caricarono su un furgone e li trasportarono in prigione; l’accusa fu di violenza e resistenza alla forza pubblica. I due giocatori ricordarono, per lungo tempo e con vero terrore, le ore trascorse nel carcere di Säo Paolo; dapprima in una grossa cella insieme ad ubriachi e prostitute, poi da soli in un’altra camera le cui piastrelle di ceramica bianca erano tutte chiazzate di sangue. Viola e Muccinelli erano in preda ad autentica paura; pensarono di dover subire l’ira di qualche poliziotto esagitato, l’immediato futuro si presentava a tinte fosche. Inutilmente, intanto, il console italiano a Säo Paolo e l’accompagnatore della squadra, il commendatore Giovanni Rotta, fecero pressioni sulle autorità brasiliane per ottenere la revoca della denuncia ed il rilascio dei due atleti; poi, dopo cinque lunghe ore, i due furono rimessi in libertà. Tre giorni più tardi Viola e Muccinelli erano in campo per la seconda partita con l’Austria e questa volta, nell’immenso catino del Maracanà, a Rio De Janeiro, i bianconeri imposero i diritti della loro classe superiore, vincendo la gara per 3-1 e convincendo anche i più raffinati competenti del calcio brasiliano, della grande efficienza degli atleti in maglia bianconera. Meraviglioso artefice di quel successo fu Muccinelli, che realizzò la prima e la terza rete della juventus, propiziando anche la seconda segnatura con un perfetto passaggio a Boniperti. Solo allo scadere del tempo gli austriaci salvarono l’onore con Melchior. Il torneo dei campioni terminò con le due gare finali, tra la Juventus ed il Palmeiras. Nella prima, i bianconeri furono sconfitti per 0-1; realizzò la rete decisiva l’ala sinistra Rodriguez. Nella seconda partita il risultato fu di 2-2; due volte la Juventus si portò in vantaggio e due volte venne raggiunta. Segnò Præst e pareggiò Rodriguez, segnò Boniperti e pareggiò Liminha. La grande avventura brasiliana della Juventus terminò in questo modo. Se si tiene conto dell’arbitraggio davvero parziale con il quale i carioca del Palmeiras vennero sfacciatamente favoriti nelle due ultime partite, non è esagerato affermare che la Juventus, sul piano morale, fu la vera trionfatrice di quella prima burrascosa edizione della Coppa dei Campioni (Mondiale per club – NDA).

1951-1952
La Juventus durante l'estate si era rinforzata integrando qualche giocatore italiano prelevato dalle serie minori e vinse grazie alle prestazioni del trio d'attacco Muccinelli-Hansen-Boniperti: il danese fu capocannoniere con 30 reti. Il campionato iniziò il 9 settembre 1951. La matricola Como si ritrovò sola in testa alla terza giornata; tuttavia, la Juventus e il Milan campione uscente recuperarono presto. I rossoneri, il 4 novembre, approfittarono della sconfitta dei piemontesi, rimontati dalla Sampdoria, per andare in testa: vennero raggiunti un mese dopo, quando persero 5-2 contro i biancorossi del Padova, e superati in occasione della sconfitta di Bergamo, due giorni prima di Natale. Il 27 gennaio 1952 la Juve fu campione d'inverno con 4 punti di vantaggio sul Milan e la ritrovata Inter. Il girone di ritorno vide protagonisti i bianconeri: gli juventini mantennero le squadre di Milano a diversi punti di distacco. Il 4 maggio batterono per 3-1 il Milan e andarono a più sette: il 1º giugno lo scudetto fu al sicuro con 3 giornate d'anticipo. Buoni i campionati della neopromossa SPAL e del Novara di Piola, che a 38 anni segnò 18 reti. Il Torino rischiò la retrocessione; salvezza tribolata anche per la Triestina, costretta ad affrontare ben due spareggi contro la Lucchese, che finì dunque in B, e una sorta di play-off ante-litteram contro il Brescia, giunto secondo in Serie B ad un punto dalla Roma, giocato a Valdagno in pieno luglio (era il 13) e vinto per 1-0 dai giuliani. Sul fondo della classifica rimase il Legnano, tornato in Serie A dopo 21 anni. Alla prima di ritorno, il 3 febbraio 1952, l'arbitro Bruno Tassini, che dirigeva Legnano-Bologna, vinta dai rossoblu con un rigore a pochi minuti dalla fine, fu aggredito alla stazione centrale di Milano da sette tifosi lilla che gli ruppero alcuni denti. La squadra lombarda subì una pesante squalifica del campo e, già ultima dopo il girone d'andata, vide compromesso il suo campionato. Dal campionato successivo le squadre si sarebbero ridotte a 18 per far spazio ai crescenti impegni di una Nazionale pienamente riabilitata sul piano internazionale dopo il periodo bellico.
Dopo una stagione dietro Internazionale e Milan, la Juventus conquista il nono scudetto nel segno del nuovo allenatore Giorgio Sarosi, famoso nazionale ungherese ingaggiato direttamente dall’Avv. Agnelli per riportare i bianconeri al vertice del campionato italiano. E il nuovo mister porta perfettamente a compimento la sua missione, puntellando la formazione dell’anno passato con pochi ma importantissimi innesti, vedi Corradi e Vivolo. Alla fine sarà ancora una volta lotta a tre con le milanesi, ma questa volta lo scudetto torna a Torino, dopo uno strepitoso inizio di campionato (sette vittorie consecutive) e un primo posto finale staccando il Milan di sette lunghezze e l’Internazionale di ben 11. Ancora una volta è l’attacco il fiore all’occhiello della formazione bianconera con 98 reti all’attivo, di cui 30 firmate da John Hansen. Il miglior attacco del campionato corrisponde anche alla migliore difesa che incassa soltanto 34 gol (16 in casa e 18 in trasferta). Il nono scudetto consentì ai bianconeri di raggiungere il Genoa, che fino ad allora era la squadra più titolata d’Italia e di mettere in evidenza alcuni ottimi giocatori come Alberto Piccinini : il mediano di una squadra che ha un attacco formato da Muccinelli, K. Hansen, Boniperti, J. Hansen e Praest non può che vedersi assegnato il compito di contenere gli avversari. Lo fa umilmente, con grande diligenza, così come vuole l’allenatore Sarosi dimostrandosi duttile una volta di più  (come quando Viani alla Salernitana nel ’47-’48 lo fa giocare con la maglia numero 9, inventando il battitore libero alle spalle della difesa). In campo si muove con eleganza e si distingue per la sua lealtà, sempre attento al giusto equilibrio tra i reparti. Disputa ben 34 partite nel vittorioso campionato diventando, col portiere Viola, il più utilizzato tra i difensori bianconeri.

Pos.
Squadra
Pt
G
V
N
P
GF
GS
DR
1.
Juventus
60
38
26
8
4
98
34
+64
2.
Milan
53
38
20
13
5
87
41
+46
3.
Inter
49
38
21
7
10
86
49
+37
4.
Fiorentina
43
38
17
9
12
52
38
+14
4.
Lazio
43
38
15
13
10
60
49
+11
6.
Napoli
42
38
17
8
13
64
44
+20
7.
Sampdoria
41
38
16
9
13
48
40
+8
8.
Novara
40
38
16
8
14
62
62
=
9.
SPAL
37
38
12
13
13
52
50
+2
9.
Pro Patria
37
38
12
13
13
47
62
-15
11.
Palermo
36
38
11
14
13
43
51
-8
12.
Atalanta
34
38
13
8
17
54
61
-7
12.
Como
34
38
15
4
19
53
70
-17
12.
Udinese
34
38
11
12
15
43
62
-19
12.
Torino
34
38
12
10
16
39
58
-19
16.
Bologna
33
38
11
11
16
45
55
-10
17.
Triestina
32
38
11
10
17
47
68
-21
18.
Lucchese
32
38
11
10
17
39
49
-10
19.
Padova
29
38
10
9
19
45
73
-28
20.
Legnano
17
38
4
9
25
37
85
-48

Rosa 16 Italiani e 3 Danesi
P Filippo Cavalli P Giovanni Viola  D Alberto Bertuccelli  D Enrico Boniforti  D Giuseppe Corradi
D Sergio Manente  C Romolo Bizzotto  C Rino Ferrario  C Giacomo Mari  C Carlo Parola
Alberto Piccinini  A Giampiero Boniperti  A Emilio Caprile  A John Hansen  A Karl Aage Hansen
  A Ermes Muccinelli  A Karl Aage Præst  A Ermanno Scaramuzzi  A Pasquale Vivolo

Nel giugno 1952 la Juventus partecipò a Parigi alla quarta edizione della Coppa Latina di calcio, la prima e l’unica cui prese parte. Dopo aver perso 4-2 in semifinale con il Barcellona poi vincitrice del torneo per la seconda volta, batte 3-2 lo Sporting nella finale per il terzo posto.


Semifinali

26/06/1952
Juventus - Barcellona (SPA)
2 - 4


Finale 3° Posto

28/06/1952
Juventus - Sporting Lisbona (POR)
3 - 2



Data
Incontro
Ris
09/09/1951
Juventus - Spal
1 - 1
16/09/1951
Legnano - Juventus
0 - 3
23/09/1951
Juventus - Lazio
5 - 3
30/09/1951
Fiorentina - Juventus
0 - 2
07/10/1951
Juventus - Atalanta
7 - 1
14/10/1951
Triestina - Juventus
0 - 3
21/10/1951
Pro Patria - Juventus
1 - 3
28/10/1951
Juventus - Udinese
5 - 1
04/11/1951
Sampdoria - Juventus
2 - 1
18/11/1951
Juventus - Lucchese
2 - 0
02/12/1951
Torino - Juventus
0 - 0
09/12/1951
Juventus - Bologna
1 - 1
16/12/1951
Milan - Juventus
1 - 1
23/12/1951
Juventus - Palermo
4 - 0
30/12/1951
Napoli - Juventus
1 - 2
06/01/1952
Juventus - Inter
3 - 2
13/01/1952
Novara - Juventus
1 - 4
20/01/1952
Como - Juventus
2 - 0
27/01/1952
Juventus - Padova
3 - 0
03/02/1952
Spal - Juventus
0 - 1
10/02/1952
Juventus - Legnano
6 - 1
17/02/1952
Lazio - Juventus
2 - 0
02/03/1952
Juventus - Fiorentina
4 - 0
09/03/1952
Atalanta - Juventus
0 - 1
16/03/1952
Juventus - Triestina
2 - 1
23/03/1952
Juventus - Pro Patria
5 - 1
30/03/1952
Udinese - Juventus
2 - 7
05/04/1952
Juventus - Sampdoria
2 - 1
13/04/1952
Lucchese - Juventus
0 - 0
20/04/1952
Juventus - Torino
6 - 0
27/04/1952
Bologna - Juventus
2 - 3
04/05/1952
Juventus - Milan
3 - 1
11/05/1952
Palermo - Juventus
0 - 0
25/05/1952
Juventus - Napoli
1 - 1
01/06/1952
Inter - Juventus
3 - 2
08/06/1952
Juventus - Novara
3 - 1
15/06/1952
Juventus - Como
0 - 0
22/06/1952
Padova - Juventus
1 - 2


JUVENTUS – LAZIO 5-3 (4-1)
5’ Muccinelli (J); 8’ Sukru rig. (L); 12’ Praest (J); 28’ Hansen K. rig. (J); 31’ Hansen J. (J); 65’ Antoniotti (L); 68’ Muccinelli (J); 89’ Flamini (L)
JUVENTUS: Viola, Corradi, Manente; Mari, Parola, Piccinini; Muccinelli, K. Hansen, Praest; J. Hanse, Carprile – All. Bertolini.
LAZIO: Sentimenti IV, Antonazzi, Furiassi; Alzani, Malacarne, Fuin; Puccinelli, Magrini, Antoniotti; Flamini, Sukru – All. Bigogno.
Il pubblico torinese può essere contento di aver finalmente rivisto la Juventus; quella di molte partite del campionato 1949-50 e quella che i pubblici brasiliani hanno pututo ammirare al torneo di Rio. Perchè oggi l’unità bianconera ha fornito una prova da frequenti applausi a scena aperta. Un footbal di alta qualità, come si addice ad una squadra di gran classe, che pone impegno allo svolgimento dei suoi compiti e che appare in progressivo crescendo di condizione. Certo che gli striscioni non hanno mantenuto identico elevato e vibrante ritmo per tutti i novanta minuti dell’esibizione. [.... se una squadra riuscisse a mantenere un massimo livello di rendimento come oggi a trattia la Juventus ha fornito, non sarebbe una formazione calcistica, che si esibirebbe su un campo, ma un autentico fenomeno; non parrebbe, tale squadra, composta soltanto da atleti, ma da ultra perfetti robots: non materia da campo calcistico ma da esposizione se non addirittura da museo. Il punteggio dice molto e poco. Giacchè la vittoria torinese avrebber magari potuto riuscire più sonante e senza per questo che il comportamento degli avversari avesse potuto apparire meno strenuo e efficace.I laziali sono stati presi di infilati nei primi trenta minuti delle operazioni. Si sono trovati solo un momento in parità: mera illusione numerica dovuta a un rigore che Tassini ha concesso agli azzurri che molto eccessiva larghezza di giudizio. [...] L’undici bianconero, pur non in formazione completa, e anche con un esordiente nel reparto arretrato, ha superato nettamente gli ospiti in qualità e in rendimento di gioco. Diciamo subito, in proposito, che Corradi, alla sua prima esibizione in Serie A, non ha affatto deluso e non si è per nulla comportanto coi timori e le titubanze del debuttante.  Anche Caprile nella sua posizione di sostituto, ha fornito del buon aiuto al funzionamente generale del meccanismo, con la sua intraprendenza e velocità. [...] Per i juventini non si possono che tessere elogi, da Parola, sempre in cattedra, a Muccinelli, autentico spirito folletto e primo tentatore di ogni sviluppo di prodezze sue e degli altri irresistibili compagni del reparto; da Mari a Piccinini onnipresente nel sostegno e nella rottura, a Manente, che ha esibito personali numeri di valentia pressochè privi di pause e di rilassatezza; a Viola,  che non ha avuto troppo da fare, ma ha pur fornito un paio di interventi di sicura prontezza. [...] – da La Gazzetta dello Sport del 24.09.1951

JUVENTUS – MILAN 3-1 (2-0)
Torino, Stadio Comunale, 04.05.1952 - 32ª Giornata
4’ Vivolo (J); 18’ Boniperti (J); 65’ Praest (J); 89’ Gren (M)
JUVENTUS: Viola, Corradi, Manente; Mari, Ferrario, Piccinini; Boniperti, K. Hansen, Vivolo; J. Hansen, Praest – All. Sarosi.
MILAN: Bardelli, Silvestri, Grosso; Annovazzi, Tognon, Bonomi; Burini, Gren, Nordahl; Liedholm, Frignani. – All. Czeizler.
ARBITRO: Gemini di Roma
Inchiniamoci – quante volte non abbiamo dovuto farlo? – alla Juventus, signora del campionato, a questa grande squadra nel cui gioco si riabilita il nostro prestigio. Essa ha potuto oggi vivere il suo trionfo, che si è attribuito, contrariamente al solito, scagliandosi in fretta alla prima battuta, con slancio quasi furente, e tuttavia con spietata lucidità, con freddezza diabolica di schemi. Ha, dunque, confermato la Juventus, di possedere la miglior tecnica italiana, di valere qualsiasi squadra continentale (e colleghi stranieri non hanno esitato a riconoscerlo) di applicare il WM come nemmeno gli inglesi sanno più fare, con tanta inventiva, tanta fantasia di mosse e combinazioni d’attacco. […] La superiorità della Juventus è stata in talune circostanze così evidente da rasentare l’irrisione. Segnate due reti i virtuosi del suo attacco correvano soltanto per smarcarsi: controllata la palla avevano il tempo di camminare, non dico di correre, e attendere che il compagno a sua volta si smarcasse scattando per il meglio in zona vuota. Tra l’estrema difesa (piuttosto compatta, applicando la disposizione a zone), e gli uomimi di punta, il fenomenale J. Hansen, cui una gamba malconcia – fin dalla metà del primo tempo – non ha impedito i formidabili rilanci in diagonale, a tagliare letteralmente il campo da un settore all’altro. John ha avuto fasi così brillanti da stordire Annovazzi, faticosamente votato a controllarne le mosse. Dal canto suo, Karl ha sgobbato col solito impegno imponendosi però con prodezze stilisticamente veramente egregie. Boniperti, lui ha giocato con la grazia di sempre, talora uscendo un tantino dal vivo della lotta, più pronto in ogni caso a servire che a concludere. Chi tutta via ha grandeggiato in campo è stato Praest. Egli ha avuto spunti da fuori classe, e vi si è sperduto Silvestri. Quanto a Vivolo, sovente ci ha ricordato Borel giovane, così sottile e pur plastico, intelligente, deciso, felicissimo nei dribblings e negli smarcamenti, temibile nel tiro. Lui e Praest, un tandem demoniaco e fatale per Silvestri e Tognon, che pure non sono pivelli. Così smarrito il Milan, non conta definire tecnicamente l’incontro né varrebbe la constatazione che, in alcuni momenti, il ritmo stesso del gioco è apparso moscio. Ciò ha contribuito a render più perentorie le azioni dela Juventus, raccolta in difesa e pronta, una volta ripreso fiato, a lanciarsi temibile in avanti. Certo, la sua superiorità è stata così netta da far pensare che se avesse giocato col mordente iniziale, avrebbe forse potuto ricambiare al Milan la clamorosa scoppola subita due anni or sono (7-1!). Magnifiche ad ogni modo sono state le trame decisive, a altre che non si risolsero d’un soffio, o per disperati interventi dei difensori milanisti o per puro caso, o per scarso (e non voluto) mordente dei goleadors juventini. Questa partita, che praticamente consacra la Juventus campione d’Italia, era altresì importante agli occhi dei critici per l’imminente “big-match” di Firenze (Italia-Inghilerra, n.d.a.). Non so quali saranno le conclusione di Beretta. […] – da La Gazzetta dello Sport del 05.05.1952

1952-1953
La stagione 1952-1953 per la Juventus, detentrice dello scudetto, cominciò con le partenze di Caprile e di Scaramuzzi, che furono rimpiazzati da Carapellese, proveniente dal Torino, e da Del Grosso. Inoltre venne aggiunto alla prima squadra il difensore Garzena dalle giovanili. Le altre partenze furono Boniforti e Bizzotto, entrambi poco utilizzati nel corso della stagione precedente. La prima partita ufficiale fu contro il Palermo allo Stadio La Favorita, che finì col risultato di 1 a 1. Le reti furono di Bettini per il Palermo e del nuovo acquisto Carapellese per gli juventini. La prima partita a Torino fu una sconfitta per 1 a 2 contro il Bologna. Alla terza giornata arrivò la vittoria in casa dell'Atalanta per 1 a 5. Dopo questa partita cominciò una striscia di 8 vittorie consecutive che si interruppe con il pareggio contro la SPAL. Dopo aver perso contro la Triestina alla ventunesima giornata, la Juventus travolse la Fiorentina per 8 a 0 e successivamente batté le due squadre di Milano, ma perse contro la Roma neopromossa. Il campionato si concluse con un pareggio contro il Napoli per 1 a 1, che classificò la Juventus seconda dietro all'Inter. Erano 13 anni che l'Inter non vinceva uno scudetto: ai tempi si chiamava ancora Ambrosiana e dopo la guerra non era mai riuscita a raggiungere il titolo. Fu la tattica del catenaccio, poco spettacolare ma efficace, introdotta dall'allenatore Alfredo Foni, a migliorare in maniera decisiva le prestazioni della difesa, 19 reti subite nei primi 31 incontri, guidata dal portiere romagnolo Giorgio Ghezzi. Grande rilevanza ebbe la mossa di mercato del Napoli, che acquistò lo svedese Hasse Jeppson sborsando l'ingente cifra di 105 milioni di lire all'Atalanta. La squadra campana non ottenne, però, il salto di qualità sperato, e chiuse al quarto posto. L'inizio del campionato, il primo a diciotto squadre dai tempi della riforma del 1933-34, venne fissato per il 14 settembre 1952. Il primo scatto fu della neopromossa Roma, ritornata in Serie A dopo un anno di B: alla quarta giornata batté il Milan e fu sola in testa. Venne raggiunta e superata dall'Inter nei primi giorni di novembre, poi perse quota e lasciò spazio a quella che fu la principale inseguitrice, la Juventus campione uscente, la cui andatura si fece però incostante: il 4 gennaio 1953 perse lo scontro diretto a Milano e fu distanziata dall'Inter e superata anche dal Milan; il 18 febbraio i nerazzurri furono campioni d'inverno, con 6 punti in più dei rossoneri. L'Inter continuò la sua marcia pressoché indisturbata: tra la ventiduesima e la ventisettesima giornata raccolse solo 3 punti, ma nessuno ne approfittò in modo concreto e, battendo per 3-0 il Palermo, i nerazzurri vinsero lo scudetto con tre giornate d'anticipo, il 3 maggio. La squadra lombarda perse le ultime tre partite, e concluse il campionato con due punti di vantaggio sulla Juventus. Il capocannoniere fu Gunnar Nordahl, del Milan, con 26 reti. Per quanto riguardava la salvezza, si decise tutto nelle ultime giornate: il 3 maggio a Busto Arsizio, il Novara rimontò nella ripresa due gol alla Pro Patria, che perse così 3-2. Per i bustocchi il risultato fu decisivo: reduci da un buon girone d'andata, persero le ultime sette partite e finirono all'ultimo posto. Un'altra lombarda cedette nel finale, il Como, battuto dalla Fiorentina all'ultima giornata. Per la Triestina arrivò ancora una salvezza in extremis.

La Juventus dei nove scudetti affronta la nuova stagione con una formazione praticamente immutata rispetto all’anno precedente, ma questa volta non ottiene i risultati sperati, superata da un’Internazionale  guidata dall’ex Foni. Il nuovo allenatore dei nerazzurri sarà il primo a inventare il cosiddetto catenaccio, facendo della difesa interista la meno battura del campionato (soltanto 24 reti subite) e lasciando all’attacco il compito di segnare col contagocce (a fine stagione l’Inter segnerà quasi 30 gol in meno della Juventus seconda). Il campionato dei bianconeri sarà altalenante, con otto vittorie consecutive tra le terza e l’undicesima giornata, ma anche con battute d’arresto, alcune del tutto impreviste. Ci sarà un clamoroso e storico 8-0 alla Fiorentina e la vittoria con la stessa Internazionale, però del tutto inutile visto che nerazzurri si erano già laureati campioni.

Squadra
Pt
G
V
N
P
GF
GS
DR
Inter
47
34
19
9
6
46
24
+22
Juventus
45
34
18
9
7
73
40
+33
Milan
43
34
17
9
8
64
34
+30
Napoli
41
34
15
11
8
53
43
+10
Bologna
39
34
16
7
11
52
43
+9
Roma
36
34
13
10
11
50
44
+6
Fiorentina
33
34
11
11
12
31
47
-16
SPAL
32
34
8
16
10
40
37
+3
Atalanta
32
34
10
12
12
52
53
-1
Torino
31
34
11
9
14
47
50
-3
Lazio
31
34
12
7
15
38
44
-6
Sampdoria
31
34
9
13
12
37
43
-6
Novara
31
34
11
9
14
43
52
-9
Udinese
31
34
10
11
13
42
55
-13
Triestina
30
34
10
10
14
47
54
-7
Palermo
30
34
10
10
14
43
56
-13
Como
27
34
11
5
18
32
44
-12
Pro Patria
22
34
7
8
19
40
67
-13

Data
Incontro
Ris
14/09/1952
Palermo - Juventus
1 - 1
21/09/1952
Juventus - Bologna
1 - 2
28/09/1952
Atalanta - Juventus
1 - 5
05/10/1952
Juventus - Triestina
3 - 2
12/10/1952
Fiorentina - Juventus
1 - 2
19/10/1952
Juventus - Udinese
4 - 0
02/11/1952
Como - Juventus
0 - 1
09/11/1952
Juventus - Torino
4 - 1
16/11/1952
Novara - Juventus
0 - 6
23/11/1952
Juventus - Sampdoria
3 - 0
30/11/1952
Spal - Juventus
2 - 2
07/12/1952
Juventus - Milan
0 - 3
14/12/1952
Pro Patria - Juventus
3 - 3
21/12/1952
Juventus - Roma
3 - 2
04/01/1953
Inter - Juventus
2 - 0
11/01/1953
Juventus - Lazio
5 - 0
18/01/1953
Napoli - Juventus
3 - 2
25/01/1953
Juventus - Palermo
2 - 1
01/02/1953
Bologna - Juventus
1 - 0
08/02/1953
Juventus - Atalanta
1 - 1
15/02/1953
Triestina - Juventus
2 - 1
22/02/1953
Juventus - Fiorentina
8 - 0
01/03/1953
Udinese - Juventus
1 - 1
08/03/1953
Juventus - Como
2 - 1
15/03/1953
Torino - Juventus
0 - 1
22/03/1953
Juventus - Novara
1 - 1
29/03/1953
Sampdoria - Juventus
1 - 1
05/04/1953
Juventus - Spal
2 - 2
12/04/1953
Milan - Juventus
1 - 2
19/04/1953
Juventus - Pro Patria
2 - 0
03/05/1953
Roma - Juventus
3 - 0
10/05/1953
Juventus - Inter
2 - 1
24/05/1953
Lazio - Juventus
0 - 1
31/05/1953
Juventus - Napoli
1 - 1


1953-1954
L'Inter si confermò campione, optando per un cambio di tattica e dunque per la rinuncia al Catenaccio, efficace ma anche soggetto a critiche dagli amanti dell'agonismo: questa volta la squadra nerazzurra risultò avere l'attacco più prolifico del campionato. La prima giornata si giocò il 13 settembre 1953. Proprio l'Inter fu la prima a staccarsi dal gruppo: fino a dicembre mantenne la vetta, seguita dalla Juventus e dalla Fiorentina del neo-acquisto Gunnar Gren, sorpresa del campionato. Con piemontesi e toscani, l'Inter divise il podio il 17 gennaio: i campioni d'inverno furono così tre. L'inizio del girone di ritorno vide i viola andare da soli in testa il 21 febbraio, allorché vinsero a Palermo, mentre l'Inter frenò in casa per mano del Legnano. Tuttavia, a dieci giornate dal termine il trio si ricompattò. L'Inter perse nel derby, poi si riprese e inseguì le rivali; alla ventinovesima, la Fiorentina perse contro il Milan e abbandonò la lotta per il titolo. Inter e Juve marciarono alla pari fino a quando, a due giornate dal termine, i bianconeri caddero in casa dell'Atalanta a causa di un errore arbitrale [1] : l'Inter ottenne un pareggio contro il Palermo che valse la vetta solitaria e, con le ultime due vittorie su Torino e Triestina, lo scudetto. La lotta per la salvezza si decise all'ultima giornata, quando quattro squadre si ritrovarono in parità a condividere l'ultimo posto. Alla fine retrocesse per la terza e ultima volta in Serie B il Legnano, che anche in questa occasione non riuscì a far durare più di un anno la permanenza in Serie A. Ai lilla non bastò il pareggio ottenuto a Novara; alle altre tre squadre coinvolte, SPAL, Palermo e Udinese, toccarono gli spareggi, che sancirono il ritorno in B, dopo sei anni, dei siciliani. Il titolo di capocannoniere fu ancora una volta di Gunnar Nordahl, con 23 reti.

[1] : JUVENTUS – NAPOLI 3-2 (2-2)
Torino, Stadio Comunale, 30.05.1954 - 34ª Giornata
RETI: 8’ Ricagni (J); 18’ Jeppson (N); 30’ Boniperti (J); 36’ Jeppson (N); 75’ Hansen J. (J)
JUVENTUS: Viola, Bertuccelli, Manente; Corradi, Ferrario, Gimona; Muccinelli, Ricagni, Boniperti; J. Hansen, Praest. – All. Olivieri.
NAPOLI: Bugatti, Comaschi, Vinyei; Castelli, Gramaglia, Granata; Vitali, Ciccarelli, Jeppson; Amadei, Pesaola. – All. Monzeglio.
ARBITRO: Piemonte di Monfalcone
CRONACA: La Juventus, evidentemente, ci teneva a giocare l’ultima carta a sua disposizione per mantenere la speranza di approfittare di un passo falso dell’Inter. Senza contare che la posizione di seconda per un solo punto di distacco (anzi di una sola rete, quella che nell’ambiente juventino passerà alla storia come la rete fantomatica di Bergamo *) è già tale da appagare il legittimo amor proprio di una squadra. [...] Si è trattato anche di una partita disputata alla maniera decisa: certi contrasti tra Praest e Comaschi avevano il tono dell’irritazione e peggio ancora di dovrebbe dire dell’eterno duello di spavalderia e di zampate tra Ferrario e Jeppson. Ma non lo diciamo, perchè a pugna finita i due ne uscirono insieme a braccetto, come i migliori amici del mondo; evidentemente era nei patti...di non risparmiarsi. Da notare che Ferrario era sceso sul terreno con una ferita aperta su uno stinco. [...] Una bella battaglia, insomma, e una partita animata se non tecnicamente perfetta. [...] – da La Gazzetta dello Sport  del 31.05.1954

* : ATALANTA - JUVENTUS 3-2 (2-0)
Bergamo, Stadio Comunale, 16.05.1954 - 32ª Giornata
RETI: 14’ Rasmussen (A); 39’ Bassetto (A); 49’ Brugola (A); 63’ Hansen J. (J); 78’ Boniperti (J)
ATALANTA: Albani, Rota, Corsini; Angeleri, Bernasconi, Villa; Brugola, Annovazzi, Rasmussen; Bassetto, Cadè II. – All. Tentorio.
JUVENTUS: Viola, Bertuccelli, Manente; Parola, Ferrario, Gimona; Muccinelli, Ricagni, Bonipeti; J. Hansen, Praest. – All. Olivieri.
ARBITRO: Massai di Pisa
CLASSIFICA: Internazionale p. 47; Juventus p. 46; Fiorentina p. 42; Milan p. 41; Napoli p. 37; Bologna p. 36; Roma p. 35; Torino p. 33; Sampdoria p. 31; Atalanta p. 29; Genoa, Lazio p. 27; Novara, Triestina p. 26; Palermo p. 24; Legnano, Spal, Udinese p. 23


Squadra
Pt
G
V
N
P
GF
GS
DR
Inter
51
34
20
11
3
67
32
+35
Juventus
50
34
20
10
4
58
34
+24
Milan
44
34
17
10
7
66
39
+27
Fiorentina
44
34
15
14
5
45
27
+18
Napoli
38
34
13
12
9
52
38
+14
Roma
36
34
12
12
10
53
42
+11
Bologna
36
34
14
8
12
50
41
+9
Sampdoria
34
34
11
12
11
38
40
-2
Torino
33
34
9
15
10
37
46
-9
Atalanta
31
34
10
11
13
54
53
+1
Lazio
29
34
10
9
15
40
42
-2
Genoa
28
34
10
8
16
36
50
-14
Triestina
28
34
9
10
15
42
64
-22
Novara
27
34
8
11
15
34
50
-16
SPAL
26
34
8
10
16
33
53
-20
Udinese
26
34
8
10
16
39
57
-18
Palermo
26
34
9
8
17
37
59
-22
Legnano
25
34
6
13
15
44
58
-14

Data
Incontro
Ris
13/09/1953
Juventus - Triestina
3 - 1
20/09/1953
Genoa - Juventus
1 - 3
27/09/1953
Juventus - Fiorentina
0 - 0
04/10/1953
Lazio - Juventus
2 - 1
11/10/1953
Juventus - Sampdoria
1 - 0
18/10/1953
Torino - Juventus
2 - 4
25/10/1953
Legnano - Juventus
1 - 1
01/11/1953
Juventus - Udinese
1 - 0
08/11/1953
Bologna - Juventus
0 - 1
22/11/1953
Juventus - Inter
2 - 2
29/11/1953
Spal - Juventus
1 - 3
06/12/1953
Juventus - Roma
3 - 0
20/12/1953
Milan - Juventus
1 - 0
27/12/1953
Juventus - Novara
0 - 0
03/01/1954
Juventus - Atalanta
2 - 0
10/01/1954
Palermo - Juventus
1 - 3
17/01/1954
Napoli - Juventus
1 - 2
31/01/1954
Triestina - Juventus
2 - 2
07/02/1954
Juventus - Genoa
3 - 1
14/02/1954
Fiorentina - Juventus
1 - 1
21/02/1954
Juventus - Lazio
0 - 0
28/02/1954
Sampdoria - Juventus
0 - 1
07/03/1954
Juventus - Torino
0 - 0
14/03/1954
Juventus - Legnano
2 - 1
21/03/1954
Udinese - Juventus
0 - 2
28/03/1954
Juventus - Bologna
2 - 2
04/04/1954
Inter - Juventus
6 - 0
18/04/1954
Juventus - Spal
3 - 1
25/04/1954
Roma - Juventus
1 - 1
02/05/1954
Juventus - Milan
1 - 0
09/05/1954
Novara - Juventus
0 - 1
16/05/1954
Atalanta - Juventus
3 - 2
23/05/1954
Juventus - Palermo
4 - 1
30/05/1954
Juventus - Napoli
3 - 2


Fosse capitato a parti invertite di perdere per un punto quando di punti all’appello ne mancano almeno due, cosa si sarebbe detto e scritto ? Ma noi non ci lamentiamo, non è nel nostro stile piangere (e fottere) come fanno gli avversari campioni di infamie e vigliaccate. Juventus seconda a un solo punto dalla prima classificata nel 1945-46 e nel 1953-54, seconda a due punti nel 1952-53, ancora seconda nel 1946-47 e nel 1947-48 (pari merito), terza nel 1950-51 e Campione d’Italia nel 1949-50 e nel 1951-52. Se fossimo stati ladri tanti secondi posti non ci sarebbero, saremmo sempre primi, invece la Juventus lotta sempre anche in mezzo a mille avversità per il vertice e a volte trionfa altre volte il primato le sfugge di un soffio. Ancora seconda nel 1937-38, 1975-76, 1999-00, a un passo dal traguardo quando ormai il tricolore era in mano nostra. Seconda nel 1903, 1904, 1906, nel 1915-16, 1919-20 (Girone Nord Italia, da cui usciva sempre la vincitrice finale del Campionato), nel 1962-63 (dietro l’ inter morattiana), nel 1973-74, 1979-80, 1982-83, 1986-87, 1991-92 e 1993-94 con tante recriminazioni per gli scontri diretti, nel 2000-01, nel 2008-09 secondi nonostante il continuo linciaggio mediatico e arbitrale sul campo. Nel girone B 1928-29 seconda. Nel girone A 1923-24 prima sul campo e quinta per “i palazzi”. Terza nel 1909-10, 1926-27, 1927-28, 1929-30, 1939-40, 1958-59, 1967-68, 1969-70, 1978-79, 2003-04, 2007-08 (nonostante un’infinità d’infortuni e penalizzata immensamente dagli arbitri). Inoltre 5 finali perse in Coppa Italia e 7 finali europee (noi si realmente a causa degli arbitraggi, addirittura l’ arbitro Puhl ammise di essersi venduto ai nostri avversari e fu allontanato per un anno, però a noi la Champions League persa contro il Borussia non ce la diedero indietro) perse e una in Copa de Rio e  una Intercontinentale e 2 Supercoppa Italiana perse. Unica finale di cui rinnego la vittoria è quella di Coppa Campioni del 1985. Non la voglio, è bagnata dal sangue dei nostri fratelli e anche la partita non fu arbitrata in modo corretto, ci regalarono un rigore che doveva essere invece calcio di punizione (magari Platini avrebbe segnato anche su punizione, però appunto era punizione, non rigore). Molte volta piazzata quarta e quinta a pochi punti dalla prima e molte volte eliminata in semifinale in Coppa Italia e nelle coppe europee in modo “misterioso”. Mille batoste immeritate che hanno infranto i nostri sogni, milioni di urla e cori colmi di rabbia e di odio nei nostri confronti, un’infinità di calunnie e volgarità contro la nostra fede e migliaia di aggressioni verso la nostra tifoseria, anche contro il pullman che trasporta i nostri giocatori, offese gravissime contro i nostri morti : la Juve non mollerà mai. Fino alla fine del mondo noi lotteremo sempre per vincere. Hanno cercato di distruggerci sprofondandoci negl’inferi. Siamo tornati. 

Il ciclo Sarosi sembrò chiudersi col secondo posto della stagione precedente, così alla Juventus sbarcò Aldo Olivieri, l’allenatore che in due anni aveva portato l’Udinese dalla serie C alla serie A. La sua cura sembrò immediatamente fare effetto: la nuova Juventus e l’ormai corazzata Internazionale diedero infatti vita a uno dei campionati più combattuti degli ultimi anni, con l’ausilio ancora una volta del Milan e quest’anno anche della Fiorentina che arriverà terza a pari punti coi rossoneri. Il girone d’andata è un’autentica lotta punto a punto, con Juventus, Fiorentina e Inter che arrivano a pari punti e il Milan appena indietro, mentre quello di ritorno presenta la sorpresa viola che va in testa fino a otto giornate dalla fine. A questo punto, però c’è il crollo e la Fiorentina non riuscirà più a vincere una partita, al contrario di Juventus e Internazionale che, nonostante la batosta che i nerazzurri danno ai bianconeri, combattono fino all’ultima giornata, scavalcandosi a vicenda partita dopo partita. Lo scudetto si decide a tre giornate dalla fine, quando la Juventus incappa in una inaspettata e immeritata sconfitta a Bergamo (e anziché 2 punti ne portò a casa 0) , mentre l’Inter pareggia a Palermo vincendo lo scudetto per un punto. Anche per la retrocessione in Serie B la lotta è senza tregua, con lo spareggio finale tra Palermo, Spal e Udinese che vede retrocedere i siciliani.

John Hansen
Quando John Hansen giunge a Torino, nel 1948, il presidente della Juventus, l’avvocato Agnelli, manda a chiamare Pozzo per confermare che il giocatore danese sia effettivamente quello che, alle Olimpiadi di Londra, aveva giocato meravigliosamente bene ed aveva segnato quattro reti alla squadra azzurra. Pozzo riconosce immediatamente nel lungo giocatore l’atleta che ci aveva dato i quattro famosi dispiaceri ed Hansen entra a far parte della squadra juventina. Gli inizi sono molto difficili: poche partite, a causa di alcuni infortuni. Va fuori forma ed alcuni arrivano a dire che il suo fisico non gli consente uno sforzo continuato. Per fortuna non è così, è semplicemente la conseguenza di allenamenti sbagliati, ma questo lo si capirà più avanti. Il trainer juventino in quel periodo è Chalmers, che ha ottimi numeri come allenatore, ma conosce poco gli uomini che gli erano stati affidati, non sa dosare lo sforzo di ciascuno, fa lavorare troppo chi si stanca presto e viceversa. Così Hansen, che pure ha classe da vendere, non convince l’allenatore, che gli preferisce Jordan, Cergoli o Sentimenti III°, insomma chiunque. Chalmers sostiene che  Hansen è lento e discontinuo. Quando finalmente il danese trova posto, il 21 novembre 1948, con la Juventus già lontana dal Torino capolista, si capisce di che pasta sia fatto questo attaccante moderno e versatile, capace di risolvere la partita in cinque minuti. Succede a Busto Arsizio il 12 dicembre, si ripete a Torino contro il Palermo la domenica successiva. Boniperti ha al suo fianco un compagno che parla la sua stessa lingua, e quando Muccinelli sull’out ha fatto fuori il terzino, non deve preoccuparsi di altro che metterla in mezzo, sicuro di trovare il danese pronto a colpire. Quarto posto per quella Juventus, 15 goal per John, al pari di Boniperti.
Il resto è cammino trionfale. 1949-50, dopo quindici anni torna lo scudetto, e John Hansen timbra la stagione con 28 reti in 37 partite. In leggera flessione l’anno dopo, con lo scudetto che sfugge più per distrazioni juventine che per meriti altrui, e comunque i goal del danese sono 20. Riecco il John Hansen trionfante nella Juventus più bella, quella del 1951/52: 30 reti in 36 partite, segnate in tutti ma proprio tutti i modi previsti dal regolamento. Rimane alla Juventus fino all’estate del 1954, totalizzando 187 presenze e 124 goal, che lo collocano al settimo posto dei marcatori di sempre della storia juventina. Pochi sanno che questo fuoriclasse autentico rischiò di andare al Torino. Lo stesso Hansen ci racconta come andò: «Giocavo ancora nel Frem di Copenaghen, quando il presidente Mr. Bernhard Langvold, direttore di una grande ditta di vini, occupandosi di importazioni, si trovava in Italia. Un dirigente del Torino gli chiese se fosse possibile avere dalla Danimarca una mezzala di valore e la somma per il trasferimento. Mr Langvold fece il mio nome, ero conosciuto in Italia per aver realizzato quattro goal contro la vostra Nazionale olimpionica a Londra. Con grande stupore del dirigente italiano, Langvold rispose che nessun compenso spettava alla squadra, della quale lui era presidente, in quanto in Danimarca i giocatori non avevano nessun vincolo con i club, essendo questi puramente dilettantistici. Così venni interpellato dal mio presidente per telefono ed invitato a fissare la cifra di trasferimento al Torino. Ma una seconda telefonata venne a mutare il primitivo progetto: questa volta è il Dott. Boella della Nordisk Fiat di Copenaghen, che, per incarico dell’avvocato Agnelli, desidera avere un colloquio per contrattare un mio eventuale passaggio alla Juventus. Optai per la Juventus ed il giovedì 18 novembre 1948 firmai un contratto triennale per la società italiana, rappresentata dal signor Secondo Artino, segretario amministrativo e delegato del club. Il signor Artino, esperto in materia di trasferimenti, mi convinse a partire immediatamente per l’Italia, promettendo le vacanze in Danimarca dell’imminente Natale 1948, con relativo rimborso spese, affinché potessi sistemare e definire le mie pratiche private. Domenica 21 novembre 1948, feci il mio esordio nella Juventus contro il Bari. Conoscevo appena il colore della mia nuova maglia, non conoscevo i compagni, e scendendo in campo, trovavo strano schierarmi a salutare il pubblico: dovevo abituarmi, ero ormai professionista. Fui felice a fine partita per la vittoria (1-0, rete segnata allo scadere del tempo da Muccinelli), ma non per il mio esordio difficile per molteplici ragioni, fondo campo duro, clima, ambientamento, ed infine perché era il mio primo match da professionista. Nel corso del mio primo campionato in Italia, una grave sciagura colpì il football italiano: la tragedia di Superga. Fui fra i primi ad accorrere a Superga, dove un uomo, bianco in volto, con capelli grigi, con le lacrime agli occhi, stava ritto in mezzo ai cadaveri. Era Mr. Pozzo, che lacrimante diceva: “I miei ragazzi, i miei ragazzi ...” Così ho rivisto per l’ultima volta chi era stato mio cavalleresco avversario: Mazzola, Ballarin, Gabetto, Ossola, con i quali ero solito consumare i pasti da Mamma Gina».
DI VLADIMIRO CAMINITI, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL MARZO 1990:
«Tra Caprile che non afferrava l’intenzione della mezzala, e Boniperti che aveva preso l’bitudine di restare prevalentemente in posizione arretrata, John Hansen non sapeva più come orientarsi. Egli non è una mezzala di sfondamento, l’azione personale non lo tenta, è uomo di manovra, un realizzatore sì, ma tendenzialmente un tattico; un atleta che reca nel gioco un apporto di idee le quali costituiscono il tema di un coro e non di un assolo. Rompere i collegamenti che Hansen costantemente cerca, equivale ad isolare e rendere nulla una viva sorgente di gioco». Per scrivere così di calcio, bisogna essere grandi giornalisti di calcio; che a capire calcio, spiegandolo al popolo, ne siano rimasti molti come l’autore dei due stralci con i quali vi presento John Hansen, proprio non credo. Io credo che a parte pochissimi esemplari, il nostro mestiere si sia imbarbarito in un tecnicismo di maniera, e che sia conformistico in tutto, il modo di porgere e spiegare calcio. In realtà, Ettore Berra negli anni quaranta, l’articolo è datato ottobre 1949, è stato un luminare della materia, io non posso negare di averlo fatto punto di riferimento nella mia formazione professionale. Chi è stato allora John Hansen? Questo spilungone danese, con lentiggini come ceci, un gran ciuffo fulvo nei giorni del 1948 quando giocava a Torino, gazzella del gioco aereo, tempista incursore dai gol saettanti, è stato un momento importante per la evoluzione del gioco in Italia. I padroni amano i fuoriclasse, vivono il calcio per ed in funzione dei fuoriclasse, si deve dire che non sempre il fuoriclasse (raramente si vorrebbe dire) serve l’evoluzione del gioco. L’hanno forse servita fuoriclasse come Sivori o Platini? Ho i miei dubbi. Sivori è stato irripetibile come Platini. Al progresso del calcio, nel senso della tattica applicata, e delle superiori strategie, sono serviti certi fuoriclasse specialissimi, ed uno pensa subito a Di Stefano più che allo stesso Pelè od a Maradona. John Hansen ha aiutato il calcio nostro ad uscire dalle secche dell’individualismo più o meno di maniera, è stato un fulcro, è stato un artificiere di gioco, con lui, e specialmente per lui è nata la Juventus irresistibile 1949/50, e seguenti, anche 1951/52, con Giorgio Sarosi allenatore, quando Jesse Carver era stato estromesso, dai giochi tentacolari della “Signora”. La “Signora” del calcio, inimitabile e strepitosa, con un presidente mecenate inimitabile e strepitoso, congegnava in campo meccanismi perfetti. Li aveva studiati a tavolino. Gianni Agnelli aveva visto personalmente la partita all’Olimpiade di Londra in cui la Danimarca ci rifilò 5 legnate in testa a 3, e 3 goal furono dello stangone, lo stesso che Gianni ricevette in ufficio, nella principesca sede di piazza San Carlo, e volle che fosse presente anche Vittorio Pozzo, l’allenatore della Nazionale Olimpica bastonata, perché non ci fossero dubbi che era proprio lo stangone dei tre goal  a Bepi Casari: «Sì, è lui», ammise Pozzo, granata di ferro, ma stimatissimo, e legatissimo all’Avvocato. Cominciò da questo momento la carriera juventina di John Hansen. Né si può dire che furono subito rose e fiori. La Juve doveva ancora darsi una regolarità ed un indirizzo tattico. L’allenatore Chalmers era forse un competente, ma certamente un bizzoso. Per lui, era meglio Angeleri, un “half” puro all’ala destra, al posto del piccolo serpentineggiante Muccinelli! É tutto dire. Chalmers allenava Sentimenti IV nei vagoni ferroviari con molliche di pane! Era un desso che qualcuno ha ritenuto fesso, come allenatore di calcio, intendo. L’Avvocato prediligeva in materia gli inglesi e con Carver, seppur limitatamente, ci avrebbe azzeccato. Nel campionato 1948/49, l’ultimo del “Grande Torino” terreno, John Hansen gioca ventiquattro volte e segna 15 goal. Il suo valore è patentato, riconosciuto e sottoscritto, e John diventa un pilastro per la gloria successiva con 28 goal in 37 partite, l’attacco irresistibile e tranciante comprendeva da destra a sinistra Ermes Muccinelli, Rinaldo Martino, Giampiero Boniperti, John Hansen e Aage Præst.  Forse, e senza forse, l’attacco più forte in assoluto (io lo preferisco a quello della Juve “platiniana”) della storia bianconera.
John, la cui precoce scomparsa ha avvilito tutti i supporter juventini, aveva un carattere smagato e pressappoco innocente, pur con fondo di orgoglio che lo portò a schierarsi nettamente contro Jesse Carver dopo la famosa intervista di Emilio Violanti all’allenatore britannico, ed alla quale si fa risalire l’inizio del giornalismo sportivo contemporaneo. Nascevano in quell’estate del 1951 i due punti e virgolette, che poi ironicamente visitati da un Gianni E.Reif avrebbero avuto tanta fortuna. Dice Boniperti, nel ricordo nostalgico del campione: «John Hansen era un bravissimo ragazzo ed un grande professionista. Ecco, lui amava allenarsi, e molto, a differenza mia. Lui era giovialone, sempre contento, non era molto attaccato al denaro, non aveva vizi, era un buono». Sì, John Hansen era così. Si era subito ambientato a Torino, trovandola città estremamente simpatica, e in pochi mesi aveva imparato a parlare un buon italiano. Andava a mangiare, come tutti di quella Juventus, in un ristorante toscano al centro della capitale sabauda, da Biagini, in quegli anni abbastanza memorabili anche perché in parte sognanti, smemorati. Nella Juventus avrebbe giocato in tutto 187 partite con 124 goal, e giudichino i lettori della sua stessa travolgente forza deflagratrice. Ritornava spesso in Italia, e la trovava molto cambiata: Si isolava nell’ufficio di Boniperti, nella sede di Galleria San Federico, e stavano ore a parlare di calcio, come era una volta e come oggi non è più.
E non è nemmeno la gazzella danese, il trampoliere del goal. Il goal che arriva dall’alto e da lontano. Il goal modellato nel coro, di un campione strategico per eccellenza, tra i grandi del calcio di ogni tempo, da considerare davvero tra quelli alati.

IL GOAL NON GOAL DI HANSEN
Karl Aage Hansen ha legato il suo nome ad uno dei piu' sfortunati e formidabili tiri che si ricordi. Era il 5 aprile del 1952 e si giocava al Comunale, Juventus-Sampdoria. Sul risultato di 2-1, in azione di contropiede il centravanti Vivolo esegui' un cross che spiovve qualche metro fuori dall'area di rigore blucerchiata. Karl lo raccolse al volo e si vide la palla filare, dopo essere passata ben dentro i pali, verso la Maratona, e cadere oltre la rete di recinsione. Stupore e incredulita' da parte del pubblico. Nessuno ricordava d'aver visto un pallone che, dopo aver sfondato una rete, seppure vecchia e lisa, continuasse la corsa quasi senza parabola. Manente e Muccinelli furono i primi ad accorrere e a richiamare l'attenzione dell'incredulo arbitro Pieri sul largo squarcio, proprio in alto e vicino al ferro di sostegno. Pieri non solo non concesse il goal, ma si rifiuto' perfino di controllare l'integrita' della rete, come sarebbe stato suo preciso dovere.

Karl Aage Hansen
Nasce a Meringe, in Danimarca, il 4 luglio 1921. Comincia la sua carriera a Copenaghen a soli diciassette anni, nelle file dell’Akademic Bold Club, diventando presto un campione. Fa parte di quella squadra che umilia gli azzurrini alle Olimpiadi di Londra nel 1948: anche se non segna alcuna rete, Karl viene giudicato il migliore in campo. Chiaramente, dopo quella partita, attira le attenzioni di qualche club italiano e, nel 1949, viene acquistato dall’Atalanta. Arriva alla Juventus l’anno seguente e rimane in bianconero per tre stagioni, durante le quali totalizzerà 86 presenze con 37 realizzazioni. Karl Aage è un giocatore universale, molto solido fisicamente ed atleticamente. È sufficiente vederlo in campo per capirne l’abilità sia nel gioco di difesa, sia di costruzione, sia di realizzazione, grazie ad un tiro micidiale che lo rende un implacabile esecutore di calci piazzati. Il primo campionato di Karl è straordinario; segna addirittura 23 goal, ma la squadra non ingrana ed il centrocampo è un colabrodo. Con l’arrivo di Sarosi, si cambia: il tecnico chiede a Karl di dare più protezione al centrocampo, riservando le sue giocate da fuoriclasse solo quando necessario. Si consacra, in questo modo, come uomo squadra e la Juventus ne trae subito beneficio, vincendo il campionato. «In quel campionato segnammo 98 reti. Vincemmo il derby per 6-0; due goal di Boniperti, due di John Hansen, uno di Vivolo e l’ultimo lo segnai io; era una Juventus scapigliata ed allegra, tutti giocavano in qualsiasi ruolo. A Torino, contro l’Atalanta nel giugno del 1951, la Juventus schierò una prima linea inedita, composta in prevalenza da mediani e terzini; c’erano Muccinelli, Parola, Boniperti, Bizzotto e Bertuccelli. Ebbene: segnarono tutti un goal ciascuno, mentre il sesto lo mise a segno il mediano Mari». Qualche ricordo in bianconero. «C’era un arbitro che aveva un fatto personale con me. Era il triestino Pieri: aveva l’abitudine di non vedere o annullare i miei goal. Ricordo di uno stranissimo goal segnato su calcio di rigore a Legnano, la seconda partita di campionato della stagione 1951/52. Il mio bolide, con il portiere Gandolfi fermo sulla linea di porta, colpì lo spigolo inferno del palo destro, la palla passo dietro alla schiena del portiere, naturalmente al di là della linea del goal, poi rimbalzò contro l’altro palo e Gandolfi, girandosi, se la trovò tra le braccia. Era un goal sacrosanto, ma Pieri non lo convalidò. Il caso più clamoroso, però, avvenne nel maggio della stagione precedente, quando a Torino battemmo il Genoa per 4-1. Aveva segnato per primo il mio connazionale Praest, aveva pareggiato Dante per il Genoa e sul risultato di 1-1 era terminato il primo tempo. Nella ripresa la Juve attaccò a fondo e, dopo pochi minuti, sferrai un tiro da fuori area con inaudita potenza. La palla si infilò nel sette, alla destra del portiere Bonelli: ma la rete era un po’ logora ed il pallone, tanto potente, l’aveva sfondata. Tutti avevano vista che la palla era entrata in rete, solo l’arbitro non lo aveva notato. Ma la cosa che mi fece diventare paonazzo per la rabbia fu il fatto che il signor Pieri si rifiutò di constatare la rottura della rete e fece praticamente continuare la partita in condizioni di palese irregolarità, piuttosto che darmi la soddisfazione del goal; soddisfazione, tuttavia, che mi presi alcuni minuti dopo deviando da pochi passi un delizioso passaggio di Boniperti». Gioca senza cedimenti di forma fino a 35 anni, disputando ottime annata anche nella Sampdoria e nel Catania. «Ricordo che quando ho giocato a Torino con la maglia blucerchiata, disputai un’ottima partita contro i miei ex amici bianconeri; il primo tempo terminò a reti involate, malgrado gli sforzi di Hansen e Praest, Con me, nelle file della Sampdoria, c’erano altri ex bianconeri; Mari, sicuramente e la mezzala Coscia, mi pare. In quella partita, Parola giocava come laterale, perché lo stopper era Rinone Ferrario. A pochi minuti dalla fine, la Juventus riuscì a segnare il goal della vittoria; sapete chi realizzò? Lui, naturalmente, Boniperti. La Juventus vinse anche a Marassi, nella partita di ritorno, con un goal dell’argentino Ricagni; un tipo buffo, ma ricco di classe».
Raramente il suo gioco è individuale, nonostante ne abbia le capacità; è un lavoratore al servizio della collettività, sfruttando al massimo la sua razionale condotta tattica, la rapidità delle sue concezioni di manovra, l’utilità della sua collaborazione.
DA VLADIMIRO CAMINITI:
La prima volta che Boniperti mi parlò di Karl Hansen, ne fissò le capacità, lui che in poche parole sa sintetizzare un mondo (Boniperti è un immenso cranio calcistico) con queste parole: «Karl avrebbe potuto giocare tre partite in un giorno». Non so se risulta a verità, ma temo di sì. Indubbiamente, Karl Aage Hansen come giocatore era uno stakanovista. È stato uno dei centrocampisti più grandiosi e creativi della storia.
Il lettore non pensi che noi esageriamo. Non si esagera mai quando si parla di questi strabilianti pedatori arrivati da lontano, da terre per lo più fredde, nelle nostre calde ed amene contrade. Poderoso centrocampista anche incontrista, cursore che non si dava requie, noi ci eravamo imbattuti in lui, parlo di noi italiani, il 5 agosto 1948, all’Olimpiade inglese, nella sfida di Highbury: Danimarca 5, Italia 3.
Formazioni. Danimarca: Nielsen; Jensen e V.Overgaard; Pilmark, Oernvold ed Jensen; Loeger, K.A. Hansen, Praest, John Hansen e Seebach. Italia: Casari; Giovannini e Stellin; Maestrelli, Neri e Mari; Cavigioli, Turconi, Pernigo, Cassani e Caprile. Quattro goal di John Hansen ed una grandissima regia di Karl Hansen spiegano dinanzi alla storia quella solennissima batosta della nostra Nazionale olimpica. E, da lì in poi, danesi a gogò, occupano, presidiano, rappresentano, l’Atalanta e la Juventus se ne arricchiscono. Karl Hansen, partito, anzi ripartito, Rinaldo Martino per l’Argentina, passa alla Juventus. L’Atalanta di Daniele Turani non aveva frapposto indugi, riuscendo a portarlo a Bergamo nell’estate del 1949 che in mezzo ad un mare di tristezze, vivevamo l’angoscia della fine del “Grande Torino”, annunciava nuovi prodigi. Karl Hansen fu grandioso. L’Avvocato Gianni, amatore di calcio dal fiuto inimitabile, aveva visto bene. In assemblea degli azionisti, aveva annunciato che avrebbe sostituito l’ineffabile ed infelice Rinaldo Martino con il più grande interno d’Europa! Ed aveva mantenuto la promessa! Quando mai l’Avvocato, diciamolo pure, ha sbagliato una desinenza calcistica? Karl Hansen, che aveva fatto salto con l’asta in gioventù, che correva senza palla andando ad occupare le posizioni strategiche del gioco, e che arrivava sempre primo sui palloni da far convergere verso la testa prensile e pure magica di John Hansen, il Gazzellone, aveva altruismo innato, era mezzala, ma di più, uomosquadra, come da noi pochi se ne sono visti, anche se il suo apporto alla Juventus in tre anni sarebbe stato tormentato: 86 partite e 37 goal, per via di dolori intermezzi fisici.
La Juventus lo avrebbe poi ceduto alla Sampdoria e da Genova andava a giocare a Catania all’altezza di un magistero per quella società, davvero indimenticabile ed impareggiabile. Karl Hansen, dice bene Boniperti, avrebbe potuto giocare 3 partite in un giorno. I suoi polpacci si industriavano a lavorare il campo su e giù, ininterrottamente.
(Una curiosità : Per diverse stagioni K.H. Hansen giocò contemporaneamente sia nel Campionato Inglese che in quello Danese ! un mostro di resistenza, fenomenale, proprio come i ragazzi fondatori, come i primi pionieri della Juventus).

Carl Aage Præst
Carl Aage è un nome da figlio di re e Præst è una fiaba nordica raccontata su un campo di calcio. Suo padre faceva il macchinista navale e la madre gestiva uno spaccio di latte e formaggi; c’era anche uno zio, asso nella squadra di un paese di pescatori, sulla costa dello Jutland: da lui imparò a tirare i primi calci. Per giocare a Copenaghen, dove era nato alla fine del febbraio 1922, si iscrisse ad un club pagando una quota mensile di 200 lire. Molti anni dopo, per averlo, la Juventus avrebbe sborsato una cifra inferiore ai 20 milioni.
Quando arrivò a Torino, alto, biondo e sempre ben pettinato, con l’aria da principe, magari un po’ amletico, aveva ventisette anni ed era già un campione affermato. Giocava nel Frem di Copenaghen, era titolare nella Nazionale danese dove occupava quasi sempre il ruolo di centravanti. All’ala sinistra lo troviamo nel Resto dell’Europa che, nel 1947, affrontò a Glasgow la Gran Bretagna: era la selezione dei migliori assi del continente, con un solo italiano, futuro compagno di squadra di Præst, Carletto Parola. Un anno dopo, alle Olimpiadi di Londra, guidava l’attacco danese nel 5-3 che eliminò i giovani italiani: giocava tra Karl e John Hansen, quest’ultimo, grazie ai suoi suggerimenti, segnò quattro goal. Avrebbe sudato molto di più, il grande John, per convincere l’amico a raggiungerlo in maglia bianconera. Præst, infatti. non voleva trasferirsi a Torino: fu, poi, una storia felice, durata sette anni, con oltre 200 partite, 51 goal, due scudetti. Ed, alla fine, un giudizio che dice tutto: dopo Orsi, la più grande ala sinistra vista nella Juventus. Aveva un gioco nitido, sobrio, un dribbling fatto di zig-zag o rettilinei, guizzi, arresti, ritorni, serpentine. C’era chi, vedendolo in un pomeriggio di gran vena, lo definiva satanico: se gli altri virtuosi del dribbling sembravano avere la palla incollata al piede lui l’aveva fissata con viti e bulloni. Il suo pezzo forte erano le finte, sull’uomo oppure a rientrare; si racconta ancora di un terzino della Fiorentina che soffriva di insonnia ogni volta che doveva affrontarlo. Boniperti ricorda: «Un’ala tecnica e velocissima, a dispetto di un fisico imponente: era alto 1,90, ma riusciva ad essere bruciante nello scatto ed aveva un dribbling micidiale con il quale saltava con regolarità il terzino avversario. In quella Juventus dei tre danesi, lui era manna dal cielo per il connazionale John Hansen, perché scendeva sulla fascia, dribblava l’avversario eppoi crossava in mezzo dei palloni che Hansen doveva solo spingere in rete. Che classe. Ed era un bravo ragazzo! Educatissimo, sempre molto ordinato e corretto in campo. Di solito i difensori non andavano troppo per il sottile quando doveva fermarlo e mi ricordo che tante volte veniva da me per farsi difendere. “Boni! Quello lì mi ha picchiato, va a dirgli qualcosa”. E così spesso toccava a me vendicarlo con gli avversari più cattivi. Come Magnini della Fiorentina. Mi ricordo che quello di Firenze era uno dei manti erbosi più belli, tenuto sempre in modo perfetto, beh dopo un Fiorentina-Juventus la fascia dove avevano duellato Præst e Magnini sembrava arata, tante le scivolate del secondo per cercare di fermare il primo». La ricerca del goal non era tra le sue doti principali, però quando si scatenava segnava a grappoli: all’esordio non aveva incantato e c’era chi trovava da ridire, pur con una formidabile Juventus, su quell’ala sinistra che in undici partite aveva segnato una sola volta. Fu così che alla dodicesima giornata del suo primo campionato italiano, sul campo di Busto Arsizio, Præst si fece definitivamente conoscere: firmò tutti e tre i goal della vittoria juventina sfoderando tutta la sua potenza del tiro e la rara abilità nel convergere a rete. Giocava fisso all’ala, per il ruolo di centravanti c’erano Boniperti e Vivolo, ma una domenica, a Torino contro la Roma, la Juventus si trovava addirittura sotto di due goal; l’allenatore, l’inglese Carver, decise di spostarlo al centro dell’attacco e lui trasformò di colpo il gioco juventino, trascinando la squadra a un’incredibile rimonta, due goal personali, infiniti assist ai compagni ed alla fine fu un clamoroso 7-2. Un’altra volta, invece, contro l’Atalanta, sembrò divertirsi a fare tanti traversoni eccezionalmente precisi per i propri compagni: segnarono tutti meno lui, ma finì 7-1. Vittorio Pozzo ricorda un goal costruito per Muccinelli a Firenze: «Una prodezza personale, una di quelle cose che anche ai più evoluti tra i campioni riescono solo una volta tanto, ma una cosa che chi era domenica allo stadio di Firenze non dimenticherà tanto presto. Giungere fino alla linea di fondo, poi convergere al centro, attrarre su di sé la difesa avversaria, battere in spazio ristretto a mezzo di finte e di padronanza della palla uno, due, tre oppositori e terminare servendo un compagno che sopraggiungeva libero da ogni marcatura, non è cosa di tutti i giorni.Præst è un giocatore estroso ed un po’ privo di continuità, ma nei suoi sprazzi, quando è in vena fa delle cose grandi. Ne fece parecchie contro di noi a Londra quel giorno delle Olimpiadi del 1948 che non abbiamo dimenticato». Il giorno dell’Epifania del 1952 la, “Settimana Incom”, gli dedicò un lungo filmato. Era la partita contro l’Inter e così il giovane Gianni Brera descrive l’azione: «Un rilancio di John Hansen lungo almeno sessanta metri, Præst scatta, doma il pallone con il suo ineffabile tocco di esterno, distende la falcata, prima del tackle evita Blason e Giovannini, ormai in area dribbla con stretti tocchi Neri, infine conclude con un tiro di destro, irresistibile per Ghezzi». Passa quasi un anno e, sotto Natale, la Juventus è seconda, tre punti dall’Inter (che vincerà lo scudetto), alla vigilia della partita con la Roma, quarta in classifica, i dirigenti juventini promettono ai tre danesi le vacanze a Copenaghen in caso di vittoria. Præst non si fa pregare ed infila subito con una stangata il portiere Albani. La vacanza sembra ormai guadagnata ma il danese della Roma, Bronée, pareggia a metà del secondo tempo. Præst non ci sta e ripete uno dei suoi capolavori: ruba il pallone al terzino Azimonti, se lo trascina in area, evita con finte e dribbling al millimetro uno dopo l’altro ben cinque avversari e giunto in area, sotto lo sguardo sbalordito dei romanisti, tocca in rete sull’uscita disperata del portiere. Poi va verso il centro, sorretto comicamente da John Hansen. Per i compagni Præst è un caro ragazzone capace di commuoversi fino alle lacrime per un goal come di implorare, se lo trascurano, di passargli il pallone. Bruno Roghi lo definiva un classico che pensa da tecnico e realizza da artista. Che fosse un giudizio acuto quanto esatto lo dimostrava lo stesso Præst quando, fuori dal campo, parlava di calcio, che considerava un gioco di applicazione e di intelligenza, il frutto di studi e di allenamento. Si ispirava a un grande inglese, Stanley Matthews, futuro baronetto per meriti sportivi, e si lamentava che in Italia il ruolo di ala sinistra fosse un po’ trascurato, non così popolare come avrebbe meritato. Lui stesso non si considerava un’ala sinistra nata (aveva cominciato come centromediano ed aveva fatto a lungo anche il centravanti): l’importante, sosteneva, era «sapere come si deve toccare il pallone». Lui, a quanto pare, lo sapeva e sapeva anche, come giuravano i critici, vedere il gioco cinque o sei battute più avanti, come un campione di scacchi. Fu l’ultimo, tra i danesi della leggenda, ad andarsene. Ebbe, tra i compagni, i ragazzini di Sandro Puppo, il brasiliano Colella, il connazionale Bronée. Nel campionato che lo vide congedarsi dalla Juventus non riuscì a segnare un solo goal, l’ultima partita la giocò a Vicenza e fu una sconfitta decisa da un tiro di un vecchio juventino passato sull’altro fronte, Manente. Poi andò alla Lazio, dove giocò appena sette partite. Aveva trentacinque anni quando tornò in Danimarca. Davanti alla propria abitazione, fece scrivere Villa Juve sulle colonnine di marmo che reggono il cancello. Ma non è tutto: nel bel mezzo del parco della villa, c’è un pennone, sul quale alla domenica Præst issava una sgargiante bandiera bianconera. Quel vessillo che garriva al forte vento del nord e portava il saluto e l’augurio di un grande campione all’amata squadra lontana.

Un immenso fuoriclasse e una persona dal cuore nobile che ha amato la Juventus sino all'ultimo. 

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