Giampiero Boniperti diventa presidente e con Allodi al mercato si limita ad acquistare il portiere Carmignani dal Varese e il terzino Longobucco dalla Ternana, sfoltendo poi la rosa. La maturazione dei
giovani dovrà fare il resto. Come allenatore è confermato Cestmir Vycpalek, un uomo che due anni fa allenava la Juve
Bagheria e che lo scorso anno Boniperti ha richiamato a Torino, investendolo poi della
successione in corsa al povero Picchi, rivelando
così un uomo pacato, ricco di equilibrio e buon senso, ma anche ottimo
conoscitore del mestiere. Insomma, la chioccia ideale per far fruttificare
l'albero della gioventù. In avvio, qualche difficoltà, le voci di una cacciata
dello stesso Vycpalek (all'indomani della sconfitta col Verona
del 17 ottobre), l'esplosione di Bettega, nel cui segno si gioca tutta la stagione: fino al
maledetto 17 gennaio, coi suoi gol a raffica; dopo, con la maggiore
responsabilizzazione di tutti i compagni, privati delle prodezze di Bobby gol.
Con Carmignani (clamorosa la sua papera a Cagliari) in
porta, Spinosi e Marchetti terzini, il primo marcatore, il secondo
con licenza di avanzare; e poi l'anziano ma strepitoso Salvadore libero e il roccioso Morini stopper. A centrocampo, l'instancabile Furino copre le spalle alla regia di Capello, in avanti Haller e Causio ci mettono la fantasia per le punte Anastasi e Bettega, e poi, dopo il forfait di quest'ultimo, Novellini, utile tatticamente anche se lontano sotto
porta dalle misure del grande assente. Ventisei giornate in testa al campionato
sono il segno di una superiorità netta. Il vivaio della Juventus ha prodotto un
autentico gioiello. Se ne rendono conto tutti, quando Roberto Bettega, alla sua seconda stagione bianconera dopo
il prestito al Varese, comincia a inquadrare la porta con impressionante
continuità. Alto e longilineo, piedi morbidi, colpo di testa micidiale: si
parla del nuovo Charles per una Juve ancora legata ai grandi del passato, di
cui il ragazzino piemontese promette di essere una riedizione aggiornata. Poi,
il dramma. Il 16 gennaio il ragazzo d'oro inchioda la Fiorentina e alla sera
appare in televisione tossicchiando. Il giorno dopo, viene ricoverato in
clinica e il 18 gennaio la società comunica che «il giocatore Roberto Bettega
dovrà assentarsi per qualche tempo dai campi di gioco per guarire perfettamente
da una fastidiosa affezione infiammatoria ali 'apparato respiratorio». Il campione in sboccio rientrerà solo
dopo 8 mesi di cura e convalescenza.
1973-1974
Un anno dopo aver sfiorato l'impresa, la Lazio smentì
chi la credeva una meteora e, con la stessa formazione dell'anno precedente,
trasformò il sogno in realtà, vincendo il suo primo scudetto nel 1974: solo due anni prima era in Serie B. Fu la vittoria dell'attaccante Giorgio
Chinaglia, capocannoniere con
24 reti, dell'allenatore Maestrelli, ma anche di una squadra sfortunata, che con il passare
degli anni perse componenti importanti, anche tragicamente, e cedette il passo.
Il campionato iniziò il 7 ottobre 1973, con la Sampdoria già
penalizzata di tre punti: prima dell'ultima giornata del campionato
'72-73, i genovesi avevano
offerto un premio in denaro all'Atalanta per
favorire l'impegno dei quasi sicuramente salvi bergamaschi nella
gara contro il Lanerossi Vicenza e
per garantire così, a danno dei veneti, la salvezza ai blucerchiati (il piano di questi ultimi
riuscì invero a metà, visto che alla fine l'Atalanta perse in modo rocambolesco
e addirittura finì per retrocedere lei stessa); per il Giudice Sportivo non fu,
comunque, un campionato tranquillo.
Inizialmente fu il Napoli a
passare in testa, raggiunto il 16 dicembre dall'accoppiata Juventus-Lazio. Partenza a
singhiozzo per il Milan, che pagò i rapporti nervosi tra Nereo Rocco e
la dirigenza, accusata dall'allenatore (che lasciò il club a febbraio) di non
aver fatto una buona campagna-acquisti. L'ultimo turno prima di Natale fu
favorevole alla Lazio, che espugnò Verona e
balzò in testa. Il 27 gennaio i
biancocelesti si laurearono campioni d'inverno con ben tre punti di vantaggio
sul trio Napoli-Juventus-Fiorentina.Il girone di ritorno fu una festa continua per una Lazio
ormai lanciata, che tremò solo in poche occasioni: il 17 febbraio stese
la Juventus all'Olimpico. Superata la
sconfitta del 17 marzo contro
l'Inter, la Lazio poté dare il
via alla volata finale; mantenendo tre punti di vantaggio sui bianconeri
praticamente per tutto il girone di ritorno, vinse il suo primo scudetto con un
turno d'anticipo il 12 maggio, battendo il Foggia grazie
a un rigore trasformato da Chinaglia.Seconda la Juve a due soli punti di
distacco,terzo il Napoli dietro di sette punti. Proprio il Foggia fu
protagonista di due scandali che rivoluzionarono il fondo della classifica,
accusando il giocatore del Napoli Sergio Clerici di
aver favorito, nelle due gare disputate nel finale di campionato, il Verona e
di aver così danneggiato il Foggia: le indagini si concentrarono in particolare
su una telefonata e gli interrogatori di Clerici e del presidente dei veneti
Garonzi non coincisero. Il Verona fu
condannato alla Serie B. Ma proprio i pugliesi vennero
accusati di aver offerto un prezioso orologio all'arbitro che avrebbe dovuto
dirigere la gara dell'ultima giornata contro il Milan: già retrocessi sul
campo, furono penalizzati di altri sei punti. La retrocessione del Verona
giovò, così, alla penalizzata Sampdoria, che riottenne il posto in Serie A;
niente da fare per il Genoa, ultimo sul campo. Buon esordio in Serie A per il Cesena. In zona Uefa, un inopinato pareggio interno all'ultima
giornata contro una Sampdoria spacciata costò alla Fiorentina il
proprio posto in Europa in
favore del Torino.
Lazio 1973/74.
Squadra leggendaria, ma non solo per il
primo scudetto della storia, anche per le guerre nello spogliatoio e la
passione per le armi: «da una parte chinaglia e wilson, dall’altra noi. Le
partitelle erano una caccia all’uomo», ricorda il terzino luigi martini.
Di Nicola Calzaretta, dal “gs” del
febbraio 2010:
Giornata di sole tiepido. In cielo nuvole
bianche e basse a rimarcare l’inverno da poco iniziato. Come da ordini
superiori, togliamo le scarpe per salire sulla “araich”, una bellissima barca
a vela ormeggiata nel golfo alle pendici del Monte Argentario. A bordo,
l’attuale presidente dell’ena, nonché comandante dell’alitalia, Luigi Martini.
Sessant’anni, un passato da deputato di alleanza nazionale e, soprattutto, da
terzino sinistro della lazio campione d’italia nel 1974. Un periodo
storico di laceranti scontri sociali e di forti contraddizioni. L’Italia trema
sotto i colpi del terrorismo: il clima è pesante, tra crisi petrolifere e
targhe alterne. Il calcio è la valvola di sfogo ai pensieri quotidiani. Ma
anche dentro il pallone tante sono le storie e le vicende contraddittorie.
Con la Lazio di Martini, Chinaglia, Wilson e Di Re Cecconi a recitare una parte
da protagonista della follia applicata al calcio. Quella squadra ha
rappresentato un fenomeno unico e irripetibile nella storia dello sport.
Il perfetto compimento, su un campo, del teorema caro ad Aldo Moro delle
convergenze parallele. Da dove partiamo presidente? «dal 12 maggio 1974, giorno
del trionfo. Penultima giornata di campionato. Noi abbiamo tre punti sulla
Juventus. All’Olimpico giochiamo con il Foggia, che lotta per non
retrocedere. Partita vera. Già negli spogliatoi sentiamo che lo stadio trema.
La gente ci chiama, un fragore assordante». Sensazioni? «all’ingresso in
campo rimasi senza fiato. Ma per tutto il primo tempo non riuscimmo a
segnare. Questo mentre la Juve stava vincendo 1-0 contro la Fiorentina. Ci
serviva solo un goal». Che arriva su rigore di Chinaglia al 60’. (ride)
«sa dov’ero io quando abbiamo segnato?». No. «sdraiato sul lettino negli
spogliatoi, con una spalla fratturata. Mi ero fatto male dopo pochi minuti
dall’inizio del secondo tempo ed ero stato sostituito da Polentes. Uno dei
massaggiatori che mi aveva accompagnato nello spogliatoio, a un certo
punto mi chiese: “ti fa male?’’. Dissi: “da morire”. “allora stai qui e
non ti muovere. Io torno a vedere la partita”. Mi lasciò solo. Questo per
farle capire che guazzabuglio di anime era quella Lazio». Nessuno le disse
nulla del goal? «non ce n’è stato bisogno. Pareva che venissero giù i muri
dal boato. Un’emozione fortissima, nonostante il dolore. Andai
all’ospedale. Dato che ero ancora con maglietta e pantaloncini, chiesi aun
massaggiatore di prendermi i vestiti, ma lui, nella confusione prese le
scarpe dì Pulici. L’ho saputo quando l’ho visto stranamente felice all’ospedale».
Pensava fosse venuto per lei? «lì per lì gli dico: “caspita, sei l’unico che è
venuto a trovarmi”. E lui: “veramente sono venuto a prendermi le scarpe,
adesso torno a festeggiare”. Ed andò via». Una roba da non credere. «normalità.
Per quella Lazio una cosa assolutamente normale». Ma c’erano davvero due gruppi
distinti che si odiavano? «chiariamo subito una cosa. L’odio non c’era.
C’era una rivalità feroce, questo sì. Per il resto é tutto vero: la squadra era
veramente divisa in due clan separati, con propri spogliatoi e
magazziniere. Questo dal lunedì al sabato. Poi la domenica succedeva
qualcosa di straordinario: bastava indossare la maglia biancoceleste per
mettere da parte ogni contrasto. In campo uniti per la vittoria. Poi, finita
la partita, tutto tornava normale». Scommetto che Pulici non facesse parte
del suo gruppo. (ride) «direi proprio di no». Come eravate divisi? «da un lato
c’erano Chinaglia, Wilson, Pulici, Oddi e Facco. Io e Re Cecconi stavamo
dall’altra con Frustalupi, Garlaschelli e Nanni». Perché tutto questo? «gente
dalla personalità spiccata. Nessuno voleva abbassare la testa. Fu naturale
poi che si creassero degli schieramenti opposti tra quelli che avevano certe
affinità. Due anime nello stesso corpo che si fondevano magicamente quando
si giocava per la vittoria». Nel 1971 quando arrivò alla Lazio, c’era già
questa situazione? «no. La scissione vera e propria avvenne più avanti e
fu provocata anche da me. La Lazio mi prese che era appena
retrocessa dalla A. Ci volle poco, però, a capire che in quella squadra i
padroni fossero Chinaglia e Wilson. Ed a me questo non piaceva per niente. Oltretutto Giorgio aveva la brutta abitudine di
mortificare i più deboli. Non
lo faceva per cattiveria, ma non andava bene». Cosa facevano i due boss?
«diciamo meglio: cosa avrebbero voluto fare. Intanto la formazione. Poi
decidere se e quando andare in ritiro. Era stata la realtà fino alla stagione
precedente, quando in panchina c’era Lorenzo. Ma nel 1971/72 le cose
iniziarono a girare in modo diverso. Anche perché ad allenare la squadra
fu chiamato Tommaso Maestrelli». Che ricordi ha di lui? «alla Lazio siamo
arrivati insieme. Per me era il primo vero salto di qualità della
carriera. Ero partito bimbo con la Lucchese in D, poi il Siena in C e nel 1969
il Livorno in B. A ventidue anni arrivare alla Lazio fu salire un altro
gradino dei sogni. Era appena retrocessa, ma l’obiettivo era tornare
subito in A». Con Maestrelli quando vi siete conosciuti? «il giorno delle
visite mediche. Ci misi mezza mattinata per trovare la strada giusta.
Appena mi vide, mi chiamò da parte per parlarmi. Ho sentito subito un
calore inusuale ed ho avuto la percezione che mi stavo trovando di fronte
ad una persona fuori del comune. Maestrelli era magnetico». Aveva mai
incontrato persone di quel calibro? «mi era successo solo una volta, con
Armando Picchi che ho avuto il primo anno al Livorno. Un allenatore
dall’immenso carisma e dalla grande carica umana. Avrebbe fatto una
bellissima carriera se il destino non gli avesse tarpato le ali ancora giovane».
Torniamo a Maestrelli. «da persona di raffinata intelligenza, per prima cosa
capì che Chinaglia andava seguito come un bambino. Giorgio aveva bisogno
di una guida, di qualcuno che lo gestisse. Aveva una grande instabilità
emotiva. In più si poneva obiettivi altissimi, perdendo di vista i
passaggi intermedi. Ma i tifosi erano dalla sua parte e gli perdonavano tutto».
Maestrelli che cosa fece? «aveva un metodo
infallibile, che usava con tutti. Un invito a mangiare a casa sua. Quando
c’era qualche problema, scattava l’invito a cena. Chinaglia fu
praticamente adottato da lui. Due, tre volte a settimana Giorgio era
ospite di casa Maestrelli. Con la sua capacità persuasiva, convinse anche
me a trasformarmi da mediano in terzino sinistro. Lui ti osservava, ti
scrutava, riusciva a cavarti fuori il problema. E noi eravamo veramente dei
tipi problematici». La stagione finisce, la lazio torna in serie a. La
campagna acquisti porta Luciano Re Cecconi. «Avevamo fatto il servizio
militare insieme. Diventammo subito amici, frequentandoci anche fuori. Un
legame vero e sincero che ha di fatto esasperato la rottura interna con l’altra
fronda. L’anno dopo si viveva da separati in casa. Io ed il Cecco da un
lato, Chinaglia e Wilson dall’altro». E Maestrelli? «dimostrò ancora una volta
il suo spessore umano. Aveva capito che quella era la nostra vera forza.
La divisione era la molla che ci portava la domenica a non averne
per nessuno. Maestrelli seppe gestire meravigliosamente un caso difficile
da spiegare con la ragione». Ci proviamo? «se non avessimo vinto lo
scudetto, forse non saremmo qui a fare l’intervista. Voglio dire che la
particolarità di quella squadra era proprio la sua illogicità. Una
chimica originalissima con l’obiettivo della vittoria a fare da legame
saldissimo quando si andava in campo». Mi risulta, però, che Chinaglia
tentasse comunque di fare la formazione. «e Maestrelli gli
lasciava credere che fosse proprio così. La storia era questa: un lunedì
sì e l’altro pure Giorgio andava a pranzo dal mister chiedendo che la
successiva partita uno tra me e Re Cecconi restasse fuori. Maestrelli
annuiva». E poi cosa succedeva? «il giorno dopo Maestrelli veniva da me e mi
faceva: “domenica stai fuori, hai bisogno di riposare”. Ma era tutta una
farsa. Di vero c’era che mi diceva di stare calmo durante la partitella,
di lasciare respirare Chinaglia che aveva bisogno di sfogarsi». È vero che durante le partitelle vi picchiavate di
brutto? «verissimo. Le partite d’allenamento erano le nostre vere gare.
Duravano anche due ore. C’erano sempre 1.000/2.000 persone a vederci.
Ovviamente i due clan giocavano uno contro l’altro. Senza
esclusione di colpi». Chi arbitrava? «Maestrelli. Solo lui poteva farlo. E più
di una volta ha dovuto fischiare la fine prima del tempo perché gli animi
erano troppo accesi. Eravamo avversari veramente, ci mettevamo cattiveria.
Poi, però, la domenica succedeva un’altra cosa incredibile. Se
Chinaglia subiva un fallo o veniva colpito, partivo io per difenderlo,
piuttosto che uno del suo clan. Lo stesso a parti invertite. Era un’altra
delle nostre caratteristiche. Uno spirito di squadra che ci legava». E che
esaltava il pubblico, giusto? «giustissimo. Credo che la qualità eccezionale di
quella squadra fosse la capacità di trasmettere agli 80.000 dell’olimpico
ciò che aveva dentro. Con i tifosi c’era una simbiosi perfetta. Il massimo
si raggiungeva pochi minuti prima dell’ingresso. Io partivo da sinistra e
facevo un allungo in diagonale verso la parte opposta del campo.
Chinaglia tirava fortissimo e pulici si scansava fingendo di avere paura.
Garlaschelli faceva un paio di finte a vuoto. Nanni dava il pallone
a Chinaglia che lo rimproverava perché sbagliava a dosare il passaggio.
Due, tre minuti così e poi via con la partita. Carichi come molle». Immagino
che per qualunque avversarlo fosse dura mettervi in difficoltà. «era la nostra
forza. Avevamo fame. Solo una volta sbagliammo l’approccio alla gara.
Successe in casa contro il Verona. Alla fine del primo tempo si perdeva
2-1. Quella volta Maestrelli fece un capolavoro. Appena l’arbitro fischiò,
lui ci precedette e si mise davanti alla porta dello spogliatoio.
Se avessimo superato quella soglia, ci saremmo scannati. Ci ordinò di
tornare in campo». E voi? «eseguimmo l’ordine. Tornammo in campo ed ognuno
prese la sua posizione, mentre il pubblico, che all’inizio non capiva,
dopo qualche secondo iniziò a incitarci. Sempre più forte. Mai provata una
sensazione così. Avevamo il sangue agli occhi. Vincemmo 4-2».
Diciamolo: una gabbia di matti. «dei tipi
originali, con passioni e grandi sogni, magari non tutti conciliabili con
il calcio. Ma erano anche altri tempi. La serie A era un torneo da bar solo
più organizzato. Non c’erano manager, procuratori. Il nostro era
sicuramente un gruppo sopra le righe. Ne erano attratti tutti, dal dottor
Ziaco, professionista ineccepibile, a padre Lisandrini, assistente
spirituale che scriveva i discorsi al papa. Ma chi era letteralmente innamorato
di noi era Umberto Lenzini, il presidente. Tornava bambino, si divertiva.
Avrebbe fatto di tutto per lanciarsi con il paracadute insieme a me e Re
Cecconi». Già, può spiegare questa passione per il paracadutismo? «i
paracadutisti sono volontari. Il corpo deve avere numeri minimi. Quando
non li raggiungono, chiamano i civili. E per questo organizzano corsi. Per
tre mesi ho studiato ed ho preso il brevetto». E Re Cecconi, come lo convinse?
«mi disse: “se lo fai te, lo faccio anch’io”. Ci siamo lanciati diverse
volte insieme, sempre da aerei militari. Lenzini, invece che multarci, ci
incoraggiava. Potevamo romperci una gamba, ma lui era stregato dalla
follia». A proposito di follie,
quanto c’è di vero della Lazio pistolera? «quasi tutto. Io avevo il porto
d’armi e andavo regolarmente a tirare al poligono di tor di quinto. Il primo a
portare una pistola in ritiro, però, fu Petrelli». Una
pistola in ritiro: e perché? «ci si annoiava. Noi andavamo in un motel
sull’Aurelia, in mezzo ai campi. Petrelli non amava giocare a carte. Così
una volta si presentò con una calibro 22. Bastò quello perché alcuni di noi
lo seguissero. Allora spuntarono berette, winchester, carabine. Un
arsenale. Mettevamo dei barattoli sul retro dell’albergo e si sparava». E
Maestrelli sapeva? «il mister aveva paura. Si affidava a me che avevo
esperienza nel maneggiare le armi. Il guaio è che dopo un po’ il tiro a
segno ci venne a noia. Così inventammo un percorso di guerra per il
cosiddetto “tiro dinamico”, con sagome che spuntavano dai cespugli ed
obiettivi mobili. Ci divertivamo come matti». Finché arrivarono i carabinieri.
«ed abbiamo smesso. Fecero qualche tiro con noi, poi però, ci mostrarono
un proiettile acciaccato che era stato ritrovato in uno stabile che si trovava
sul lato opposto al motel. Poteva scattare una denuncia. Decidemmo di
finirla lì». Era la Lazio fascista. «fascista quella Lazio? Ma se Maestrelli
aveva fatto il partigiano. In pochi eravamo politicamente schierati.
Petrelli era di destra, io votavo msi. Wilson stava con la dc. Chinaglia
con nessuno. E Re Cecconi si interessava poco di politica. Si è voluto forzare
la mano equivocando con la tradizione laziale e con il fatto che avevamo
le pistole». Con Sollier andavate giù duro. (ride) «lui entrava in campo con il
pugno alzato e noi lo mazzolavamo. Ma faceva parte del gioco. La gente
capiva e si divertiva. Altri tempi. Oggi c’è troppa omologazione. Uno come
Cassano fa paura, da quasi fastidio».
Altri personaggi che ha
incontrato in carriera? «Concetto Lo Bello. E la storia merita di
essere raccontata. Campionato 1972/73, all’olimpico si gioca Lazio-Milan.
Prima della gara un nostro dirigente viene nello spogliatoio e dice che Lo
Bello vuole fare la chiamata. Strano. Lo Bello entra nello spogliatoio, ma
pretende che rimangano solo i giocatori e Maestrelli. Poi ci dice: “oggi
voglio vedere l’abatino piangere”».
Perché? «perché Rivera lo aveva fregato
tempo prima, scippandogli un rigore. In campo non dico che trattamento gli
abbiamo riservato. Ricordo che Rocco dalla panchina a un certo punto mi
urlò: “facile così”. Io allargai le braccia indicando l’arbitro». E
Rivera? «gliel’ho detta io trent’anni dopo in parlamento. E lui si è veramente
stupito». Gennaio è il mese in cui morì il suo amico Luciano Re Cecconi. Che
ricordo conserva di lui? «sono tutti belli ed ancora forti. La verità
sulla morte di Luciano non è quella emersa nel processo. Sono passati
trentatre anni, ma mi fa arrabbiare che Luciano sia passato da
ingenuo. Non c’è stato nessuno scherzo, Luciano non ha mai pronunciato
nessuna frase». Ma cosa ha indotto un uomo a premere il grilletto? «pioveva. Luciano
era insieme a Ghedin. Si stavano riparando camminando raso muro, con il
bavero del giubbotto alzato e le mani in tasca. Erano col profumiere
Giorgio Fraticcioli che doveva consegnare dei prodotti al
gioielliere Tabocchini. Fraticcioli è entrato per primo, Luciano e Ghedin
dietro di lui. Il gioielliere ha pensato che fossero dei rapinatori. Già
tempo prima aveva subito delle rapine. Luciano non ha mai aperto bocca, ma
l’altro, preso dal panico, ha sparato a bruciapelo al petto».
Pos.
|
Squadra
|
Pt
|
G
|
V
|
N
|
P
|
GF
|
GS
|
DR
|
1.
|
43
|
30
|
18
|
7
|
5
|
45
|
23
|
+22
|
|
2.
|
Juventus
|
41
|
30
|
16
|
9
|
5
|
50
|
26
|
+24
|
3.
|
Napoli
|
36
|
30
|
12
|
12
|
6
|
35
|
28
|
+7
|
4.
|
Inter
|
35
|
30
|
12
|
11
|
7
|
47
|
33
|
+14
|
5.
|
Torino
|
34
|
30
|
10
|
14
|
6
|
27
|
24
|
+3
|
6.
|
Fiorentina
|
33
|
30
|
10
|
13
|
7
|
32
|
26
|
+6
|
7.
|
Milan
|
30
|
30
|
11
|
8
|
11
|
34
|
36
|
-2
|
8.
|
Roma
|
29
|
30
|
10
|
9
|
11
|
29
|
28
|
+1
|
9.
|
Bologna
|
29
|
30
|
6
|
17
|
7
|
35
|
36
|
-1
|
10.
|
Cagliari
|
28
|
30
|
7
|
14
|
9
|
25
|
32
|
-7
|
11.
|
Cesena
|
27
|
30
|
6
|
15
|
9
|
25
|
28
|
-3
|
12.
|
L.R. Vicenza
|
26
|
30
|
7
|
12
|
11
|
22
|
37
|
-15
|
13.
|
Sampdoria
|
20
|
30
|
5
|
13
|
12
|
27
|
34
|
-7
|
14.
|
Foggia
|
18
|
30
|
6
|
12
|
12
|
20
|
34
|
-14
|
15.
|
Genoa
|
17
|
30
|
4
|
9
|
17
|
16
|
37
|
-21
|
16.
|
Verona
|
(25)
|
30
|
8
|
9
|
13
|
28
|
35
|
-7
|
|
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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||||||||||||
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||||||||||||
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||||||||||||
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1974-1975
In estate, mentre la Lazio campione
sceglieva di mantenere invariata la propria rosa, le altre squadre andarono
incontro a mercati imponenti e a vere e proprie rivoluzioni dell'area tecnica
che alterarono gli equilibri del torneo. Il Milan condusse
un mercato autorevole, puntando sull'ex allenatore torinista Giagnoni (che
portò con sé Bui e Zecchini) ed acquistando, tra gli altri, Bet e Calloni; i granata, intanto richiamarono sulla loro panchina Fabbri e
pescarono in provincia (tra gli acquisti, Zaccarelli). La Juventus scelse
come nuovo allenatore l'ex bandiera Parola, reduce da alcuni buoni campionati in Serie B col Novara, ed ingaggiò l'ala del Vicenza Damiani ed
il giovane libero atalantino Scirea. L'Inter si
affidò all'ex gloria Suárez (dopo
aver cercato a lungo d'ingaggiare Kovács), limitò gli acquisti al fantasista della Massese Cerilli e
lasciò andare Bellugi al Bologna, Bedin alla Sampdoria e
il duo Burgnich-Massa al Napoli. La Lazio campione uscente partì bene, ma alla quinta
giornata subì la rimonta dell'Inter all'Olimpico;
si formò un vero e proprio "gruppone" di otto squadre raggruppate in
soli due punti. Il Bologna di Savoldi tentò
un'avanzata, ma a scattare fu la Juventus di Parola; affascinato dallo
spumeggiante gioco offensivo mostrato dall'Olanda di Michels, il nuovo allenatore superò immediatamente un pesante
scoglio, il grave infortunio occorso a Spinosi, trovando nel duo Morini-Scirea e nella coppia di terzini formata dal maturo Cuccureddu e
dal debuttante Gentile una
difesa abbastanza solida per poter esprimere il gioco desiderato. Il 15 dicembre la
Juventus sembrò ridimensionare le ambizioni del Napoli espugnando il San Paolo con
un clamoroso 2-6; lo stop in casa della Lazio, il 5 gennaio, non condizionò troppo l'andamento della squadra piemontese, che chiuse il girone d'andata con tre punti di vantaggio
sui biancocelesti, secondi, e quattro sulla Roma del
rientrante De Sisti e
del ritrovato Cordova.Nelle prime giornate
del girone di ritorno la Juventus continuò il suo cammino senza troppi
problemi, allungando anche fino a 5 punti sulle seconde, la Lazio in ansia per
il male che aveva colpito l'allenatore Maestrelli e
il ritrovato Napoli. La squadra di Vinício, anch'essa desiderosa di imitare il modello olandese, dopo
la pesante sconfitta di dicembre era finalmente riuscita a trovare un
equilibrio anche in fase difensiva. Gli azzurri si lanciarono dunque
all'inseguimento, arrivando allo scontro diretto del 6 aprile a
-2 dalla capolista; fu un gol dell'ex Altafini ,
riserva di lusso per i bianconeri, ad infrangere i loro sogni. Nelle successive
giornate la Juventus si limitò a controllare il lieve vantaggio sul Napoli: il
suo rendimento calò, come dimostra il pesante 1-4 subito a Firenze alla
penultima giornata, ma mandando al tappeto il 18 maggio una
già retrocessa Lanerossi Vicenza, vinse comunque il titolo. Fu negativo il
rendimento delle due milanesi. L'Inter non andò oltre il nono posto, chiudendo
rapidamente le esperienze di Suárez in panchina e di Cerilli in rosa; il Milan
strappò la qualificazione alla Coppa UEFA all'ultima
giornata, pagando l'altalenante rendimento di Calloni, attaccante prolifico ma
dall'errore sotto porta troppo facile, (il giornalista Gianni Brera lo
apostrofò "lo sciagurato Egidio", con riferimento al personaggio dei Promessi Sposi) e la polemica tra Gianni Rivera e
il presidente rossonero Buticchi, che portò il calciatore addirittura a tentare l'acquisto
della società. Il capocannoniere fu,
per la seconda volta, Paolo Pulici, goleador di un Torino in cerca di gloria. Poco avvincente
la lotta per la salvezza; rimase presto schiacciato sul fondo il Varese, seguito dalla Ternana, che perse malamente le ultime cinque gare perdendo il
contatto con la Sampdoria. Lombardi e umbri abbandonarono (definitivamente) la
Serie A dopo un solo anno di permanenza. Ultima a cadere fu la Lanerossi
Vicenza, condannata al ritorno in B dopo
20 anni. Grazie ad un buon girone di ritorno, si salvò l'esordiente Ascoli, prima squadra marchigiana in
A.
Pos.
|
Squadra
|
Pt
|
G
|
V
|
N
|
P
|
GF
|
GS
|
DR
|
1.
|
Juventus
|
43
|
30
|
18
|
7
|
5
|
49
|
19
|
+30
|
2.
|
Napoli
|
41
|
30
|
14
|
13
|
3
|
50
|
22
|
+28
|
3.
|
Roma
|
39
|
30
|
15
|
9
|
6
|
27
|
15
|
+12
|
4.
|
Lazio
|
37
|
30
|
14
|
9
|
7
|
34
|
28
|
+6
|
5.
|
Milan
|
36
|
30
|
12
|
12
|
6
|
37
|
22
|
+15
|
6.
|
Torino
|
35
|
30
|
11
|
13
|
6
|
40
|
30
|
+10
|
7.
|
Bologna
|
32
|
30
|
10
|
12
|
8
|
36
|
33
|
+3
|
8.
|
Fiorentina
|
31
|
30
|
9
|
13
|
8
|
31
|
27
|
+4
|
9.
|
Inter
|
30
|
30
|
10
|
10
|
10
|
26
|
26
|
0
|
10.
|
Cagliari
|
26
|
30
|
6
|
14
|
10
|
22
|
30
|
-8
|
11.
|
Cesena
|
25
|
30
|
5
|
15
|
10
|
23
|
35
|
-12
|
12.
|
Ascoli
|
24
|
30
|
6
|
12
|
12
|
14
|
27
|
-13
|
13.
|
Sampdoria
|
24
|
30
|
4
|
16
|
10
|
21
|
35
|
-14
|
14.
|
L.R. Vicenza
|
21
|
30
|
5
|
11
|
14
|
19
|
34
|
-15
|
15.
|
Ternana
|
19
|
30
|
4
|
11
|
15
|
19
|
42
|
-23
|
16.
|
Varese
|
17
|
30
|
3
|
11
|
16
|
19
|
42
|
-23
|
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
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|
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|
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|
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1975-1976
Sopraffatta nel corso degli ultimi vent'anni
dal potere delle due squadre milanesi, la città di Torino ritornò
improvvisamente sotto i riflettori del calcio: il presidente del Torino Orfeo Pianelli optò
per un concreto salto di qualità e, dopo anni di purgatorio, una squadra che
con l'incredibile tragedia di Superga aveva
perso tutto, ritornò altamente competitiva. I derby torinesi tornarono, come
non mai, equilibrati e appassionanti, divisero l'Italia intera e furono soprattutto decisivi per
l'assegnazione dello scudetto. Nel 1976, a ben ventisette anni dall'ultimo titolo, vinsero i granata, esplosi grazie all'intesa eccezionale
tra gli attaccanti Paolo Pulici (capocannoniere con
21 gol) e Francesco "Ciccio" Graziani (secondo,
sempre nella classifica cannonieri, con 15 gol) e grazie all'estro di Claudio Sala, oltre che all'allenatore Luigi Radice, proveniente da Cagliari. Il campionato iniziò il 5 ottobre: anche in quell'anno vi era una squadra all'esordio, il Perugia, mentre il Como aveva
festeggiato il ritorno in Serie A dopo ventidue anni. Iniziarono bene Juventus e Napoli, le due squadre che si erano contese lo scudetto l'anno prima. Verso la decima giornata il Napoli mollò la presa e
spianò la strada al Torino che, nonostante un avvio incerto (3 punti nelle
prime 3 gare, con la sconfitta a Bologna all'esordio)
guadagnò terreno. Alla fine fu la Juve ad arrivare prima alla fine del girone
d'andata, con tre punti di vantaggio sul Toro, che diventarono 5 alla
diciannovesima giornata, il 29 febbraio. La capolista, ad un certo punto, si
bloccò e perse tre partite di fila, prima a Cesena, poi nel derby giocato in casa, quando
l'1-2 finale viene tramutato in 0-2 dal Giudice Sportivo perché un petardo
aveva colpito il portiere granata Castellini; infine, la terza sconfitta di fila,
il 4 aprile contro l'Inter, significò secondo posto per i bianconeri. Il
Torino passò in testa e arrivò all'ultima giornata, il 16 maggio, con un solo punto di vantaggio sui "cugini". Il
pareggio interno contro il Cesena sarebbe
potuto costare caro ai granata, ma la Juve perse a Perugia e
non riuscì ad approfittarne. Per il Torino fu scudetto in un Comunale in
delirio; ma anche per il Cesena, al terzo campionato in Serie A, ci sarà una
meravigliosa sorpresa quando il Napoli vincerà
la Coppa Italia liberando
un posto ai romagnoli per una storica partecipazione alla Coppa UEFA. Nel corso della stagione crollò inesorabilmente la Lazio, costretta a far fronte ai malumori di un Chinaglia attratto
da un'offerta proveniente dagli Stati Uniti. La squadra biancoceleste si salvò solamente grazie alla
differenza reti: ne fece spese l'Ascoli.
Niente da fare per il Como, mentre la favola del Cagliari, che nel 1969-70 festeggiava
la scudetto e ora piombava in B, era al capolinea. Si salvano invece le neopromosse Verona e Perugia, quest'ultima, al debutto in A, anche in buona posizione
di classifica.
Squadra
|
Pt
|
G
|
V
|
N
|
P
|
GF
|
GS
|
Torino
|
45
|
30
|
18
|
9
|
3
|
49
|
22
|
Juventus
|
43
|
30
|
18
|
7
|
5
|
46
|
26
|
Milan
|
38
|
30
|
15
|
8
|
7
|
42
|
28
|
Inter
|
37
|
30
|
14
|
9
|
7
|
36
|
28
|
Napoli
|
36
|
30
|
13
|
10
|
7
|
40
|
27
|
Cesena
|
32
|
30
|
9
|
14
|
7
|
39
|
35
|
Bologna
|
32
|
30
|
9
|
14
|
7
|
32
|
32
|
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|
|||||||||||||||||||||||||
STAGIONE 1973-74.
Dopo due scudetti consecutivi e la prima
finale di Coppa dei Campioni, la Juventure sembra tirare il fiato e la stagione
1973-74 viene ricordata soprattutto per alcuni importanti cambiamenti
all’interno della società che va riaggiustandosi: unica modifica della rosa, la
cessione di Helmut Haller e l’attivo dell’arcigno difensore Claudio Gentile, ma
i cambiamenti più importanti riguardano la sostituzione di Italo Allodi con
Pietro Giuliano che diventerà presto il braccio destro di Giampiero Boniperti;
il preparatore atletico Derio Sarroglia lascia la Juve dopo oltre vent’anni e
gli subentra Luciano Demaria. Nonostante i cambiamenti, la Juventus rimane
comuqneu protagonista del campionato, duellando fin dall’inzio con la Lazio,
già orgogliosa antagonista della stagione precendente. Dopo nove giornate, le
due compagini sono affiancate in testa con 13 punti, prima che la Juve lasci
strada ai biancazzurri cadendo a Cagliari con un gol di quel Gigi Riva che
Boniperti aveva inutilmente provato a convincere a sbarcare a Torino. Il girone
d’andata si chiude così con la Juventus staccata di tre punti dalla capolista
guidata da Giorgio Chinaglia, capocannoniere del campionato. Nel frattempo, a Wembley
la Nazionale di vince contro l’Inghilterra a Wembley per la prima volta nella
storia mettendo in vetrina i due juventini Zoff e Capello, autore del gol della
vittoria. La Lazio sembra però inarrestabile e anche quando lasciano qualche
punto per strada, come col Torino, la Juventus non riesce ad approfittarne
sancendo il successo dei biancocelesti che chiudono il campionato con due punti
di vantaggio sui bianconeri.
L.R. VICENZA - JUVENTUS 0-3
Vicenza, Stadio Romeo Menti, 19.05.1974 -
30ª Giornata di Campionato
RETI: 1’ Anastasi (J); 8’ Anastasi (J); 38’ Anastasi (J)
L.R. VICENZA: Sulfaro, Gorin, Longoni; Bernardis, Ferrante, Berni;
Damiani, Perego (46’ Speggiorin), Sormani; Vendrame, Macchi - All.
Puricelli
JUVENTUS: Zoff,
Spinosi, Longobucco; Furino, Morini, Salvadore; Causio, Viola, Anastasi (73’
Altafini); Capello, Bettega – All. Vycpalek
ARBITRO: Prati
di Parma
CRONACA: A Vicenza si è festeggiato di tutto in questo
pomeriggio di caldo afoso: i vent’anni consecutivi di permanenza in Serie A,
Volpato per la sua lunga milizia biancorossa, la squadra che ha salutato il suo
pubblico per l’ultima volta in questa ennesima stagione tribolata. Ma
soprattutto è stata festeggiata la Juventus trattata da ospite di lusso dai
tifosi sugli spalti e ancor di più dai vicentini in campo. Una Juve che porta
via da Vicenza il più facile 3-0 della sua storia e Damiani, il cui passaggio
nelle file bianconere è stato definito ieri sera: 500 milioni al Vicenza e in
più un giocatore da scegliersi tra Viola e Savoldi II, riscattato dal Cesena.
Il 3-0, comunque, ha un solo nome: Pietro Anastasi, il giocatore attualmente
più in forma di tutto il campionato. Si pensi soltanto agli otto gol del
centravanti nelle ultime tre partite; e per fortuna del Vicenza, nel secondo tempo,
Anastasi si è calmato, ormai sazio del pingue bottino, tanto che al 20’ dal
termine Vycpalek lo ha sostituito con Altafini.
E’ bastato quindi un solo tempo ad una
Juventus ben disposta all’impegno (senza comunque dannarsi l’anima) per avere
ragione di un Vicenza festaiolo. Se si toglie ad una squadra come quella
biancorossa la decisione, l’agonismo, la “cattiveria”, quali armi le restano
per contrapporsi allo strapotere tecnico di una squadra come quella bianconera?
Il risultato, oltretutto, è stato contenuto in termini non mortificanti per i
padroni di casa solo perché l’impegno della Juve (e di Anastasi) si è limitato
al primo tempo. Da parte sua Zoff (salvato dalla traversa su una magnifica
“punizione” di Longoni: si era al 20’) ha dovuto guardarsi solo
dall’intraprendente Damiani. Al 53’ si è dovuto opporre col corpo al tiro
dell’ala che si era presentata solo davanti alla porta. Per il resto una
partita di tutto riposo per la difesa bianconera. I tre gol suonano invece a
condanna della difesa vicentina, che ha esaltato nell’inesperienza di Gorin,
ancor più la grande vena di Anastasi. Puricelli avrebbe fatto bene a dirottare
sul centravanti il più esperto Longoni, dopo i primi minuti nei quali Gorin non
era riuscito a fermare una volta lo scatenato avversario. […]
Le tre reti sintetizzano abbastanza bene
l’andamento dell’incontro. 1’: Anastasi appoggia a Furino che scende solo verso
l’area avversaria: gran tiro rasoterra e palo alla destra di Sulfaro. La difesa
vicentina è ferma: Anastasi si butta di testa sul pallone e infila. 8’: Causio
si libera facilmente di due avversari a centrocampo e centra in area: Gorin si
fa scavalcare dal pallone sul quale si gettano Anastasi e Bettega: il
centravanti è più lesto a colpire ed a infilare sotto la traversa.
Al 38’: Anastasi raccoglie il pallone
fuori area. Gorin lo aspetta lontano, sul dischetto del rigore (!). Il
centravanti ha tutto il tempo di mirare e centrare magnificamente il “sette”
alla destra di Sulfaro. E con questo sono 16 i gol per Anastasi quest’anno, una
quotamai raggiunta in bianconero. – da La Gazzetta dello Sport del 20.05.1974
CLASSIFICA: Lazio p. 43; Juventus p. 41; Napoli p. 36;
Internazionale p. 35; Torino p. 34; Fiorentina p. 33; Milan p. 30; Bologna,
Roma p. 29; Cagliari p. 28; Cesena p. 27; L.R. Vicenza p. 26; Verona p. 25;
Foggia p. 24; Sampdoria p. 20; Genoa p. 1
STAGIONE 1974-75.
Dopo l’ultima stagione avara di
soddisfazioni, la dirigenza bianconera decide di cambiare tecnico, sostituendo
Vycpalek dopo tre anni ricchi di successi e chiamando l’ex Carlo Parola. La
nuova squadra, praticamente uguale a quella dell’anno precedente, comincia con
qualche fatica per poi riprendere il suo normale cammino inarrestabile. Alla
terza giornata Parola fa debuttare un giovande difensore prelevato dall’Atalanta:
Gaetano Scirea che già alla quinta ricopre il ruolo che lo avrebbe fatto
entrare nella storia della Juventus: il libero. Accanto a lui Morini nel ruolo
di stopper e alla quarta arriva l’aggancio alla vetta. Il cammino della Juve
del girone d’andata è tranquillo e chiude in testa con 23 punti, tre in più
della Lazio Campione d’Italia. Nel girone di ritorno sembra che il cammino vada
tranquillo e spedito, fino a quando arriva la sconfitta nel derby col Torino
grazie a un gol di Zaccarelli a due minuti dalla fine. La vittoria
contemporanea del Napoli di Juliano, porta i partenopei a soli due punti dalla
Juventus, proprio alla vigilia dello scontro diretto. A Torino sbarcano
migliaia di tifosi napoletani, nella speranza di assistere all’aggancio, ma la
partita si avvia verso un pareggio che sta bene alla Juve, almeno fino
all’entrata in campo di Altafini che a due minuti dalla fine sigla il gol che
praticamente consegna lo scudetto ai bianconeri che dopo una inaspettata caduta
a Firenze, seppelliscono di gol il L.R. Vicenza all’ultima giornata cucendosi
sul petto lo scudetto numero 16. Uno dei giocatori che guidò la squadra al
successo in Campionato fu il combattente Giuseppe Furino che, dopo aver
debuttato nella stagione 1969-1970, diventò presto un caposaldo del
centrocampo: Nella Juventus che rinvince il Campionato,
un posto di primaria importanza è occupato da questo rude mediano. E’ il
classico modello del calciatore dall’immenso cuore. Lottatore formidabile,
agonisticamente non ha eguali; è lui che, di solito, si occupa dell’avversario
di maggior peso, del fantasista della squadra rivale. Con modestia e
determinazione si adegua al compito affidatogli dall’allenatore; non ha paura
di esporsi, anche davanti al pubblico avverso, al colpo irregolare o al fallo
tattico, per la causa della squadra. Tra i giocatori che hanno il compito di
contrastare il gioco altrui è, senza dubbio, tra i migliori. Nel vittorioso
torneo gioca 28 partite su 30. I
successi che miete in Italia, non si ripetono purtroppo in Europa dove la Juve,
in Coppa delle Fiere, viene eliminata ancora una volta in semifinale dagli
olandesi del Twente.
JUVENTUS – MILAN 2-1
Torino, Stadio Comunale, 13.10.1974 - 2ª
Giornata di Campionato
RETI: 20’ Bettega (J); 32’ Benetti (M); 57’ Anastasi (J)
JUVENTUS: Zoff,
Gentile, Cuccureddu; Furino, Morini, Spinosi; Damiani, Causio, Anastasi (76’
Altafini); Capello, Bettega – All. Parola
MILAN: Albertosi,
Bet, Sabadini; Zecchini, Turone, Maldera; Bigon, Benetti, Calloni (79’ Gorin);
Rivera, Chiarugi – All. Giagnoni
ARBITRO: Gialluisi
di Barletta
CRONACA: La Juventus si sveglia con la determinazione e il
movimento che le si conoscevano, e ne fa le spese il Milan, che altrettanto
desto e determinato non è. La Juventus si è subito riavuta dallo smacco di Bologna,
il Milan non ha progredito. Per la Juve è una conferma della validità del suo
“collettivo”, per il Milan se non proprio guai sono già preoccupazioni. Ha
retto all’altezza per il solo primo tempo giocando più che decentemente senza
complessi di sorta, e rispondendo con un gol di Benetti ai gol di Bettega, che
due minuti prima se n’era mangiato un altro. E’ stato il solo grosso spreco
della Juve, che era stata supersprecona a Bologna. Benetti aveva già sfiorato
la segnatura di testa per un’uscita a farfalle di Zoff, quando Gentile aveva
liberato rinviando alla paesana. Sull’1-1 il Milan s’è visto negare un rigore
formalmente ineccepibile: Chiarugi, a terra, aveva cercato di rialzarsi per
riconquistare la palla e Gentile lo aveva tenuto giù, palesemente per tutti,
tranne che per l’arbitro Gialluisi.
Nella ripresa Damiani ha mancato il 2-1,
ci sono stati 5’-6’ di soprassalti bianconeri equivalenti ad altrettanti rischi
per la difesa del Milan, e infine Anastasi ha messo a segno, con una prodezza
di tempismo e di battuta, il gol della vittoria. Da quel momento il Milan s’è
sfaldato, la partita ha avuto alcuni risvolti sin troppo spigolosi, Furino
(ammonito) e Gentile non hanno fatto complimenti, Gialluidi consentendo, nei
confronti di Rivera e di Chiarugi. Poi Albertosi ha alzato disperatamente oltre
la traversa un tiro-gol di Furino; e nel finale è stata ancora la Juventus a
presentarsi minacciosa ad Albertosi, con Causio in fuga e con una girata di
testa di Bettega.
Nulla hanno potuto cambiare, del quadro già
delineato, le due sostituzioni, una per parte. Gorin ha rilevato il
frastornatissimo Calloni; Altafini non si capisce perché abbia preso il posto
di Anastasi, che era stato il migliore in campo (e la Juve aveva già la
vittoria in tasca).
E’ stata una partita interessante e
tecnicamente apprezzabile solo a metà, quando le due squadre hanno potuto
fronteggiarsi realisticamente. Poi il gioco s’è sporcato per le confuse
velleità del Milan che riusciva a smuovere il solo Maldera e a far concludere
in qualche modo il solo Benetti ed anche per un certo superfluo nervosismo
serpeggiato in taluni juventini, preoccupati più del lecito sull’esito di una
partita ormai decisa. L’arbitro ha poco aiutato, perché scarsamente autorevole.
Si vorrebbe sapere, infine, perché Gialluisi lascia battere le punizioni
trascurando spesso di far rispettare le distanze della barriera. Dunque,
vittoria netta e chiara della Juventus. Su questo non ci piove. Piove, semmai,
sul Milan. Un motivo della vittoria, il più evidente e del resto pure
decisivo, va ricercato nelle opposte prestazioni dei due centravantu. La Juve
ha avuto un Anastasi in più, il Milan un Calloni in meno. E’ poiché proprio
Calloni era la pedina più attesa del Milan, l’attesa è andata malamente delusa.
[…] Parliamo di Anastasi e di Calloni, il dritto e il rovescio della medaglia.
Anastasi ha ripreso decisamente quota rispetto a Bologna. Sempre in movimento,
tenace e risoluto centravanti di manovra, concentrato, altruista, in grado di
offrirsi sia ai centrocampisti sia ai compagni dell’attacco, e persino qualche
volta ai difensori, ha fatto segnare Bettega ed ha segnato egli stesso. A
Bettega ha dato, dapprima senza frutto, una palla-gol: Bet è saltato fuori
tempo, Bettega è andato dentro sparato, sin troppo sparato: per la fretta ha
messo fuori un pallone d’oro. Poi, recuperando su un’incornata di Benetti a
ridosso dell’area, Anastasi ha saltato Benetti stesso ed ha infilato il
diagonale redente tra due difensori: Bettega ancora una volta ha preceduto Bet
sullo scatto a scivolone ed ha alzato la palla che è andata a sbattere sotto la
traversa ed è finita dentro inseguita da solo sguardo, desolato, di Albertosi.
Infine Anastasi ha fatto tornare i conti: costringeva Zecchini a fargli fallo,
lasciava che Causio battesse la punizione diagonale dalla sinistra, e poco
fuori dal rettangolo d’area, e come Turone ha respinto di testa mettendogli la
sfera giusto sul piede, ha battuto di collo sinistro e Albertosi è stato
infilato nell’angolino. […]
La Juventus è in salute, lo si vede. E’ in
grado, del resto, di fare di più e di meglio. A Bologna, prima mezz’ora, ci
aveva offerti schemi anche più incisivi e più brillanti, spunti più spediti.
Doveva essere turbata: la voglia di riscattarsi immediatamente. Ha
offerto comunque di sé un’immagine coerente al momento. Ha tenuto testa ad un
Milan che s’impegnava a tutto campo senza soggezione, ha fatto fdi Furino l’uso
che la classe di Rivera consente (incursioni non frequenti ma decise), è parsa
organizzata a centrocampo e insidiosa in attacco. Causio ha ripreso lucidità e
passo figurando tra i migliori, benché Maldera lo abbia marcato senza
risparmio. Per un Bettega che non è ancora registrato, c’è un Anastasi, come
s’è detto, in gran crescendo. E se Capello figura sempre tra le “colonne” portanti,
nei panni del regista che sa dosare il passo e la posizione (sin’anche a
cercare il gol), Damiani è di un rendimento notevole. E’ l’ala del momento, una
delle pochissime ali vere. Sono in parecchi a saper concludere, nella Juve. Nel
Milan, invece, bisogna cercarli col lanternino.
La difesa juventina ha presentato uno
Spinosi libero anche di appoggiare con insospettabile sicurezza, un Gentile
grintoso e capace di levare la castagna dal fuoco, se occorre, ma anche più
offensivo dello stesso Cuccureddu; Morini non ha avuto difficoltà e Zoff poco
lavoro. Tutto il reparto di retroguardia, aiutato da una più elastica e
ordinata articolazione della manovra, con un filtro più largo ed efficace, si è
potuto organizzare come reparto. La Juventus c’era già a Bologna (lo si
scrisse), c’è a maggior ragione adesso che ha scavalcato l’ostacolo più temuto
nella delicata fase d’avvio. Il Milan si deve ancora fare, e Giagnoni, che lo
ha rifatto, deve dimostrarci di saperlo rinnovare. Ha i suoi problemi,
Giagnoni, e bisogna capirlo. Quel Calloni è certo da rivedere, ma lo “choc”
psicologico è stato grave, prima ancora per lui che per il Milan. Non si
scoraggi: la serie A è da conquistare. – da La Gazzetta dello Sport del
14.10.1974
CLASSIFICA: Fiorentina, Lazio p. 4; Napoli, Sampdoria, Torino p.
3; Bologna, Cesena, Internazionale, Juventus, Varese p. 2; Ascoli, Cagliari,
L.R. Vicenza, Milan, Roma p. 1; Ternana p. 0
MILAN - JUVENTUS 0-2 a tavolino
Milano, Stadio San Siro, 09.02.1975 - 17ª
Giornata di Campionato
MILAN: Albertosi, Bet, Sabadini; Zecchini, Turone (73’
Anquilletti), Benetti; Gorin, Bigon, Calloni; Rivera, Chiarugi - All.
Giagnoni
JUVENTUS: Zoff,
Gentile, Cuccureddu; Furino (36’ Longobucco), Morini, Scirea; Damiani, Causio,
Anastasi; Capello, Bettega – All. Parola
ARBITRO: Barbaresco
di Comons
NOTE: Il Giudice Sportivo assegnò la vittoria a tavolino
alla Juventus dopo che Zoff fu colpito da una pietra lanciata dagli spalti
CLASSIFICA: Juventus p. 26; Lazio p. 23; Torino p. 22;
Internazionale, Napoli p. 21; Bologna, Milan p. 20; Roma p. 19; Fiorentina p.
17; Cesena p. 14; Cagliari, Sampdoria, Ternana, Varese p. 12; L.R. Vicenza p.
11; Ascoli p. 10
NOTE: Vittoria
a tavolino (intemperanze del pubblico; intorno al 75° un petardo esplode vicino
a Gentile ed Anastasi, quest'ultimo viene trasportato svenuto negli
spogliatoi). Sul campo 1-2: Bigon 20, Bettega 63, Damiani rigore 70
JUVENTUS – VICENZA 5-0 (4-0)
Torino, Stadio Comunale, 18.05.1975 - 30ª
Giornata di Campionato
RETIi: 8’ Damiani (J); 27’ Bettega (J); 36’ Anastasi (J); 38’
Damiani (J); 55’ Cuccureddu (J)
JUVENTUS: Zoff,
Gentile, Cuccureddu; Furino, Morini, Scirea; Damiani (53’ Altafini), Causio,
Anastasi; Capello, Bettega (70’ Anastasi) – All. Parola
L.R. VICENZA: Sulfaro
(46’ Ciaschini), De Petri, Longoni; Bernardis, Perego, Berni; Galuppi (14’
Rigoni), Savoldi, Vitali; Fontana, Faloppa – All. Scopigno
ARBITRO: Michelotti
di Parma
CRONACA: La Juventus ha vinto il suo sedicesimo scudetto: onore
e gloria alla Juventus. Lo ha raccolto all’ultima giornata battendo il Vicenza
più derelitto, perché già condannato in B, degli ultimi vent’anni e per giunta
in formazione rimaneggiata. Scopigno, alla vigilia, aveva parlato di
“olocausto”, e la Juventus ha avuto quasi fatalmente l’apoteosi.
Cinque i gol infilati alla malcapitata
difesa vicentina e potevano naturalmente essere di più, se la Juve avesse
inteso insistere anche nella ripresa e se ne fosse valsa la pena. Trovatosi con
un 4 a 0 già all’intervallo, laJuve ha poi giocato deconcentrata, più che altro
cercando accademicamente la via di altri gol; e in particolare cercando di far
segnare una rete ad Altafini, subentrato all’8 della ripresa a Damiani, autore
di una doppietta. L’ovvio appagamento ed il caldo afoso hanno sconsigliato
maramalderie di sorta. La squadra bianconera è partita con palese nervosismo
che l’ha indotta in errori ed affanno, ma si è ben presto ripresa. Dopo soli 7’
è stato Damiani a sbloccare il risultato: angolo di Causio da destra,
incornata, in tutto comodo, di Damiani. Al 27’ Anastasi, in giornata di vena,
ha messo in azione Bettega, che è avanzato in perfetta scioltezza e
indisturbato; al momento di venire raggiunto da un difensore, ha fintato il
passaggio ed ha invece concluso direttamente in porta rasoterra alla destra del
portiere. Anastasi e ancora Damiani hanno arrotondato così: 36’, Causio lungo
per il centravanti, questi raccolto l’invito saltava in corsa il portiere in
uscita e metteva dentro; due minuti dopo, ancora angolo di Causio e nuova
incornata di Damiani da sinistra: Damiani stavolta lasciava rimbalzare la
palla e con un secondo rimbalzo la schiacciava in rete sorprendendo
l’allocchito Sulfaro. Cuccureddu nella ripresa, scambiando con Anastasi, ha
infilato di sinistro al 10’ il portiere Ciaschini ed ha segnato il quinto ed ultimo
gol.
Poco altro da dire su una partita che è
durata un tempo di troppo, il secondo. La Juvem autorevole e spesso ben
sciolta, si è dimostrata decisa ad onorare la festa dello scudetto ma non ad
infierire. Causio, Anastasi, Furino e Gentile ci sono sembrati i più in vista;
e sugli altri non è il caso di sottilizzare. Dovevano fare blocco vincente e lo
hanno sicuramente fatto. […]
Il compito della Juve di oggi è stato
dunque agevolato senza dubbio dall’imparità del confronto. Ma il frutto era più
che maturo. Lo scudetto non solo era atteso; era stato, a un certo punto,
persino scontato; poi era stato coinvolto in un lungo rinvio. L’ultimo rinvio,
domenica scorsa a Firenze, contro la grande Fiorentina di un giorno. La
differenza, anche nell’ultima incredibile svolta, stava in questo: che la
Juventus era durata una stagione e non una giornata; e che in questa stagione,
parsa più sofferta del necessario perché la stessa Juventus ne aveva offerto
malauguratamente il pretesto, la Juve ha raccolto il giusto premio.
Finalmente! hanno sospirato le immense
schiere di tifosi dela squadra più seguita d’Italia. Ma ora che lo scudetto era
al sicuro, che cadevano le ansie, anche le insinuazioni maliziose non reggevano
più. Un finale non proprio in bellezza, quello della Juve? Un titolo più
perduto dal Napoli, irriducibile antagonista, che guadagnato dai bianconeri?
Agli interrogativi interessati la Juve aveva già risposto, non con la vittoria
abbondante sul Vicenza, che assumeva l’importanza sul traguado, ma con la sua stagione
più ricca di luci e ombre.
E’ questa stagione che la partita di oggi
ha fatto idealmente rivivere, non appena il risultato è stato deciso, e con
esso lo scudetto. Negli ormai inutili sviluppi di una partita svuotata di
senso fino al trionfo di circostanza, la Juventus è stata infine realmente
padrona del suo destino. E allora è divenuto logico valutarla per ciò che è
stata: la più forte squadra di un lotto ristretto oltre le previsioni. In
definitiva, la Juventus aveva vinto un unico appassionante duello: quello col
Napoli. Il resto, a cominciare dalla Lazio campione, era stato progressivamente
ridotto ai margini. In questo duello, poche cifre significative: la Juventus
fuori casa sette volte vittoriosa, per il Napoli una sola vittoria esterna e proprio
all’ultima giornata; la Juventus mai battuta in casa, unica squadra fra tutte,
il Napoli battuto una sola volta, ma da chi? Dalla Juventus. Ricordiamoci pure
che quel 6 a 2 fu il risultato di una Juventus mirabile e travolgente, quanto
di un Napoli logorato da una trasferta in Coppa UEFA e offerto ad uno
sbandamento mortificante. Ma quella fu la prima svolta autentica del
campionato, e al Napoli, nel momento stesso che aumentava il suo svantaggio da
due a quattro punti, dopo dieci giornate, si deve riconoscere, al di là di quel
disastro memorabile, una eccezionale capacità di recupero. Ricordare, e riunire
i ricordi senza confonderli, nel diario di un campionato sempre avvincente
nonostante la mediocrità della concorrenza, vuol dire ricordare che la Juventus
è rimasta in testa del tutto sola, alla settimana giornata, con un punto di
vantaggio. In testa ha sempre resistito, nonostante talune cadute per lo più
sfortunate. Il vantaggio sul Napoli, lasciando perdere le poche altre aspiranti
al passaggio, è salito da quattro a cinque, e perfino a sei punti (diciottesima
giornata); è tornato a diminuire nell’ultima parte, fino al limite di guardie
dei due punti in coincidenza del derby torinese perduto e con l’allucinante
“stangata” di Firenze.
Non erano state altrettanto preoccupanti
le sconfitte dell’Olimpico (con la Lazio) che aveva ravvicinato la sola Lazio
ad un punto e, ancora all’Olimpico, la sconfitta con la Roma (ventiduesima
giornata) quando lo scudetto con meno sfortuna poteva già essere deciso con largo
anticipo. […] – da La Gazzetta dello Sport del 19.05.1975
CLASSIFICA: Juventus p. 43; Napoli p. 41; Roma p. 39; Lazio p. 37;
Milan p. 36; Torino p. 35; Bologna p. 32; Fiorentina p. 31; Internazionale p.
30; Cagliari p. 26; Cesena p. 25; Ascoli, Sampdoria p. 24; L.R. Vicenza p. 21;
Ternana p. 19; Varese p. 17
STAGIONE 1975-76.
La Juventus Campione d’Italia si appresta
ad affrontare una nuova stagione conscia della sua forza e di una rosa che si
arricchisce con gli innesti del giovane centrocampista Marco Tardelli
acquistato dal Como e dell’attaccanto Bobo Gori proveniente dal Cagliari.
Bettega finalmente sembra essere tornato quello dei primi anni, mentre la crisi
tra Anastasi e la società va acuendosi prospettando un vicino divorzio. Fin
dalle prime giornate, la questione scudetto sembra immediatamente un affare
cittadini tra Juventus e Torino, con i bianconeri che cominciano col piede
giusto per poi cadere proprio nel derby di andata perso per 2-0 con gol dei
“gemelli” Graziani e Pulici. I granata si impongono in pochi mesi come la vera
squadra da battere e soltanto la Juventus sembra riuscire a stargli dietro
inanellando otto vittorie consecutive proprio dopo il derby perso. La
classifica del girone di andata si chiude coi bianconeri avanti di 3 punti sui
cugini, un vantaggio che a marzo, ad appena nove giornate dalla fine, aumenta a
5 lunghezze. Proprio quando il diciassettesimo scudetto sembra ormai cosa
fatta, ecco che la Juventus sembra improvvisamente perdere la sicurezza e la
tranquillità incappando in una incredibile sconfitta a Cesena: il Toro ne
approfitta portandosi nuovamente a -3 in classifica, proprio alla vigilia del
derby di ritorno ancora una volta vinto, stavolta per 2-1, peraltro grazie a
due autogol (Damiani e Cuccureddu) che vanificano il gol di Bettega. Il
risultato conquistato sul campo, sarà poi cambiato dal giudice spoertivo in 0-2
a tavolino a causa di un petardo che colpisce il portiere granata Castellini.
In piena confusione e paura per la rimonta del Torino, la Juventus perde anche
a Milano contro l’Internazionale. Mancano tre sole giornate alla fine e la Juve
non sembra più avere le forze per riprendersi, chiudendo nel modo peggiore,
sconfitta a Perugia e lasciando via libera al Torino che conquista lo scudetto
mantenendo due punti di vantaggio sui rivali cittadini.
CSKA SOFIA - JUVENTUS 2-1 (0-1)
Sofia (Bulgaria), Stadio Balgarska Armyia,
17.09.1975 - Coppa dei Campioni – Sedicesimi di Finale - Andata
RETI: 40’ Anastasi (J); 80’ Denev (C); 89’ Marascialev (C)
CSKA SOFIA: Filipov, Zafirov, Aranghelov; Vassilev,
Kolev, Penev; Sredkov (46’ Maraselev), Markov, Pritargov; Denev, Ioncev – All.
Manolov
JUVENTUS: Zoff,
Tardelli, Gentile; Furino, Morini, Scirea; Cuccureddu, Causio, Anastasi (81’
Altafini); Gori, Bettega – All. Parola
ARBITRO: Rien
(Belgio)
Da "La Stampa" del 17/09/1975
«Tornate indietro o vi abbattiamo». Questo l’ordine perentorio lanciato dai
dispositivi di sicurezza della torre di controllo di Zagabria, al comandante
del DC-9 Alitalia 8366 sul quale viaggiava la Juventus, con i giornalisti ed i
tifosi al seguito, partito da Caselle poco dopo le 9.30 e diretto a Sofia.
Erano le 10.30 ed il «charter» stava sorvolando, da qualche minuto, il
territorio jugoslavo: per una grottesca «dimenticanza» burocratica, Zagabria
non sapeva nulla del nostro passaggio. E così, mentre noi si stava scherzando
ed interrogando i vari Altafini e Parola, i «caccia» militari jugoslavi
ricevevano l’ordine di intercettarci se non avessimo subito abbandonato i loro
cieli patrii. A questo punto, dopo aver tentato invano di chiarire l’equivoco
con affannosi messaggi radiofonici (era intervenuto anche Boniperti) il
comandante Beccaris doveva invertire lo rotta ed attendere, con uno «scalo
tecnico» a Venezia, l’o.k. degli organi internazionali. Un risotto in bianco
all’italiana nel ristorante dell’aeroporto di Venezia, anziché un più pesante
«goulash» balcanico, ha riempito le ore e ridato un tono alla comitiva.
[Articolo di Bruno Bernardi]
Il «DC-9» che doveva portare la Juventus a Sofia non ha potuto sorvolare il
territorio jugoslavo per una dimenticanza di qualche funzionario della
direzione del traffico aereo di Belgrado, il quale non ha trasmesso il
«benestare» al controllo di Zagabria. Il volo era previsto da tempo e l’Alitalia,
alla quale appartiene il «DC-9», aveva richiesto a Belgrado, e ottenuto, tutte
le autorizzazioni necessarie. Da Venezia l’apparecchio avrebbe puntato verso il
radiofaro di Rijeka (Fiume) seguendo l’aerovia «Red 22»; procedendo oltre
avrebbe raggiunto il radiofaro di Zagabria e proseguito per Belgrado lungo la
«Blue 5». Sorvolata la capitale jugoslava, avrebbe fatto rotta per i radiofari
di Topola e Bozhuritshte, quest’ultimo in Bulgaria, seguendo la «Amber 4». Il
«piano di volo» così concordato doveva essere comunicato ai centri regionali di
controllo del traffico aereo di Milano, Zagabria, Belgrado e Sofia. I messaggi
sono stati inviati regolarmente a tutti i centri meno quello di Zagabria,
evidentemente per una dimenticanza di qualcuno a Belgrado. E’ così accaduto che
quando il «DC-9» con la Juventus ha lasciato l’area dipendente dal controllo di
Milano, il pilota si è messo in contatto radio con quello di Zagabria per
essere autorizzato a proseguire. Se il «piano di volo» gli fosse giunto, il
controllore di turno avrebbe avuto davanti a sé una striscia di carta recante
il nominativo del velivolo, l’ora stimata di entrata nell’area sotto la
sua giurisdizione, la quota di volo, l’ora di sorvolo di tutti i radiofari
della zona e infine quella di uscita dall’area di Zagabria per entrare in
quella di Belgrado. Il funzionario, invece, non aveva nulla: era completamente
all’oscuro del transito dell’aereo, né aveva il tempo materiale per «inserirlo»
fra i movimenti degli apparecchi, già programmati sulle aerovie che il «DC-9»
avrebbe dovuto percorrere. Dopo un breve scambio di messaggi radio fra il
«DC-9» e il controllo di Zagabria, non essendo autorizzato a proseguire il volo
sul territorio jugoslavo, per non interferire con il traffico aereo in corso,
l’apparecchio con i calciatori bianconeri è stato così costretto a far ritorno
a Venezia. E dopo alcune ore di sosta, preparato un altro «piano di volo», che
questa volta è pervenuto anche a Zagabria, la comitiva ha potuto riprendere il
viaggio.
[Articolo di Aldo Vitè]
CESENA - JUVENTUS 2-1 (0-1)
Cesena, Stadio La Fiorita, 21.03.1976 -
22ª Giornata di Campionato
RETI: 11’ Damiani (J); 48’ Bertarelli (C); 60’ Bertarelli
(C)
CESENA: Boranga, Ceccarelli, Oddi; Zuccheri, Danova, Cera;
Rognoni, Frustalupi, Bertarelli; Festa, Urban - All.
Marchioro
JUVENTUS: Zoff,
Cuccureddu, Tardelli; Furino, Spinosi, Scirea; Damiani, Causio, Gori; Capello,
Bettega – All. Parola
ARBITRO: Serafino
di Roma
CLASSIFICA: Juventus p. 35; Torino p. 32; Milan p. 30;
Internazionale p. 28; Cesena, Napoli p. 26; Perugia p. 24; Bologna p. 23;
Fiorentina, Roma p. 21; Lazio p. 17; Ascoli, Sampdoria p. 16; Verona p. 15;
Como p. 12; Cagliari p. 10
JUVENTUS – TORINO 0-2 a tavolino
Torino, Stadio Comunale, 28.03.1976 - 23ª
Giornata di Campionato
JUVENTUS: Zoff,
Cuccureddu, Tardelli; Furino, Spinosi, Scirea; Damiani, Causio, Gori; Capello,
Bettega – All. Parola
TORINO: Castellini,
Santin, Salvadori; Sala P., Mozzini, Caporale; Sala C., Pecci, Graziani;
Zaccarelli, Pulici – All. Radice
ARBITRO: Menicucci
di Firenze
NOTE: Sconfitta a tavolino in seguito all’incidente accorso
al portiere granata Castellini, colpito da una pietra. Sul campo la partita era
finita 1-2: 2’ Cuccureddu aut. (T); 44’ Damiani aut. (T); 70’ Bettega (J)
CLASSIFICA: Juventus p. 35; Torino p. 34; Milan p. 32;
Internazionale, Napoli p. 28; Cesena p. 26; Bologna p. 25; Perugia p. 24;
Fiorentina, Roma p. 22; Ascoli, Lazio, Verona p. 17; Sampdoria p. 16; Como p.
13; Cagliari p. 12
NOTE: Sconfitta
a tavolino (Castellini, portiere granata, colpito da un petardo). Sul campo
1-2: Cuccureddu autorete 2, Damiani autorete 45, Bettega 70.
Invasione di campo da parte dei tifosi
bianconeri che sostengono che il petardo è stato lanciato da un tifoso granata
per avere la vittoria a tavolino essendo la vittima il portiere del Torino.
PERUGIA - JUVENTUS 1-0 (0-0)
Perugia, Stadio Pian di Massiano,
16.05.1976 - 30ª Giornata di Campionato
RETI: 55’ Curi (P)
PERUGIA: Marconcini, Nappi, Lanzi; Frosio, Berni, Amenta;
Ciccotelli, Curi, Novellino; Vannini, Sollier - All.
Castagner
JUVENTUS: Zoff,
Gentile, Tardelli; Furino, Morini, Scirea; Causio (’72 Altafini), Cuccureddu,
Gori; Capello, Bettega – All. Parola
ARBITRO: Menegali
di Roma
CRONACA: L’intuizione di un possibile spareggio non era
infondata in casa juventina, alla vigilia, solo che invece di segnare il gol
l’undici bianconero lo ha subito, così è sfumata malinconicamente anche la
superstite probabilità di incontrare i rivali concittadini per la terza volta
nella stagione col sapore dell’ultimo appello.
La Juventus è caduta a Perugia svuotata di
contenuto, senza l’incisività necessaria per tradurre in reti un lungo forcing
iniziale, insomma visibilmente lontana dall’immagine di squadra completa e
maiuscola come si era realizzata nel girone ascendente di questo stesso
campionato.
A Perugia per poter sperare sino
all’ultimo, la Juventus avrebbe dovuto vincere e per la verità ha subito
tentato di centrare l’obiettivo imponendo alla squadra locale un forcing di una
ventina di minuti, dieci dei quali giocati in modo esemplare. Purtroppo per la
Juventus nessun goleador è uscito vittorioso da questo sforzo reiterato, anche
se al 1’ Tardelli e al 3’ Gori sono andati vicini alla realizzazione. Proprio
in questa fase di predominio bianconero si era tuttavia capito che gli scambi
non erano sufficientemente sincronizzati, che la velocità di palla non era dale
da porre l’avversario alle corde. In simili circostanze conta il pugno del k.o.
e la Juventus non lo ha posseduto.
Al Perugia quell’inizio degli avversari al
fulmicotone aveva creato non dissimulati scompensi. Frosio per primo aveva
accusato qualche difficoltà anche perché la Juventus attaccava a tutto arco di
campo con Tardelli, Furino e Cuccureddu in appoggio a Bettega e a Gori.
Né agli umbri in quel periodo riusciva
agevole il contropiede, sia per il caparbio controllo dello stesso Tardelli su
Novellino, sia per l’applicazione di Gentile su Sollier. In definitiva i due
giovani difensori juventini, che riusciranno alla fine tra i meno criticabili
assieme al puntiglioso Furino e al generoso Morini, si adoperavano in una
maniera spesso intelligente e puntuale in quei disimpegni che portavano la
squadra bianconera ad offendere senza temere l’offesa altrui.
Ovviamente la Juventus, giocando il tutto
per il tutto in quei venti minuti iniziali, sperava di poter raccogliere almeno
il frutto di un gol quindi di rimanere sulle sue per attendere la manovra
avversaria: insomma qualcosa come era accaduto a Bologna da cui nacque un 4-2
che gli juventini ricordano come un momento di resurrezione. Ma col trascorrere
dei minuti, nonostante Marconcini non fose in giornata felice, incapace di
trattenere il pallone sul primo intervento, la Juventus non riusciva a passare
e probabilmente al di là delle umane aspirazioni, si giustificava ciò che già
si era potuto comprendere, ossia una deconcentrazione alla quale l’undici
bianconero da qualche tempo non aveva saouto sfuggire. Vero è che quel suo
forcing ha avuto soltanto il senso di un velleitario tentativo di pervenire ad
un rapido risultato per poi eventualmente conservarlo.
Occasioni clamorose da rete tuttavia la
Juventus non ha costruito perciò il Perugia, passato lo stordimrnto che quella
buriana aveva determinato, ha potuto riorganizzare i reparti e connettere
meglio il proprio gioco. Nel frattempo – dopo mezz’ora di aspro duello con
conseguenti reciproche ammonizioni – Tardelli e Novellino si erano… svincolati
ed era statio Gentile a raccogliere l’invito della panchina di un controllo
severo ma certo meno arcigno nei confronti del prestigioso attaccante perugino.
La squadra locale proprio dalla mezz’ora
imbastiva qualche manovra di centrocampo, spediva in avanti ora Ciccotelli ora
Novellino, anche perché la Juventus diminuiva sensibilmente il ritmo.
Vi è pure da ricordare che Castagner sino
a quel momento aveva distribuito con accortezza i compiti dei propri giocatori
attraverso una cerniera mobilissima a tre quarti di campo con l’apporto
decisivo di un magnifico Curi, solerte nel ricucire il gioco, senza mai perdere
di vista Furino, verosimilmente il più assiduo rifornitore bianconero. Così
impostata con estrema saggezza, la squadra perugina poteva affrontare la
ripresa con maggiore sicurezza; il peggio per essa era passato anche se al 47’
un tiro di Causio veniva salvato provvidenzialmente da Berni in angolo.
La juventus infatti costretta dalle
circostanze a forzare ancora i toni, attaccava in prevalenza ma, come era
evidente, ciò non avveniva in scioltezza. La retroguardia stessa, indotta a sua
volta a seguire, veniva aggirata e già al ’49 una avvisaglia di grosso rischio
la dava Ciccotelli il quale servito da Novellino indugiava in eccesso in area e
perdeva l’attimo propizio. Sei minuti dopo comunque la situazione di pericolo
estremo si ripeteva: questa volta Novellino operava un perfetto cross che
sorvolava il solitario Morini: Curi, alle spalle dello stopper, raccoglieva di
destro al volo e insaccava; era il gol della sicurezza… per il Torino
neo-campione d’Italia.
A questo punto la Juventus aveva un
ritorno d’orgoglio che la onorava, ma che non approdava al benché minimo esito:
al ’70 Causio serviva Capello il quale di testa indirizzava a rete: Marconcini
deviava in angolo. Due minuti dopo entrava Altafini per Causio nella speranza
ultima di capovolgere l’esito. Ma si trattava di una Juventus all’evidenza
sfiduciata che ad ogni modo non desisteva dall’attacco. All’80 Bettega colpiva
la faccia esterna di un montante e all’81 su cross di Gentile, Capello
rabbiosamente batteva su Marconcini in uscita.
Senza storia le superstiti battute: il
Perugia controlava agevolmente e si apprestava a raccogliere gli entusiastici
applausi del suo pubblico. E tali applausi il Perugia merita perché può
vantarsi – oltre a tutto gioco e classifica – di aver battuto sia i
neo-campioni del Torino, sia gli ex-campioni della Juventus. Il Perugia si è
impegnato secondo le proprie inclinazioni con una fedeltà encomiabile agli
schemi che Castagner ha costruito per una squadra soprattutto abile nel rapido
disimpegno e nell’affondo altrettanto perentorio in virtù di un centrocampo
mobilissimo e aderente ai migliori canoni del calcio moderno. Questo Perugia –
se non smobiliterà – sarà ancora esaltante senza dubbio alcuno.
Alla Juventus l’onore delle armi. Un
giudizio scevro da passionalità, ma improntato a serenità e a un senso equo
dello sport, va scandito sul pentametro di tre scudetti e di due secondi posti
da quando la società ha ristrutturato la squadra. La regina, dunque, non è
morta e sepolta: con ammirazione e con stima, ci sentiamo di dire: viva la regina.
– da La Gazzetta dello Sport del 17.05.1976
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